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Visualizzazione dei post da giugno, 2010

Joni Mitchell – Hejira (1976, Asylum)

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Colonna sonora di un viaggio dal piglio autobiografico che affronta il tema simbolico della strada intesa come la vita, le vicende e il suo distacco progressivo dagli affetti fino alla solitudine finale. Scritto veramente durante un viaggio in auto da New York a Los Angeles, Hejira è un diario intimo di proustiana memoria, un flashback nei ricordi che va alla ricerca del tempo perduto. Joni Mitchell canta ciò che legge nel suo cuore, con la sua voce in primo piano a sottolineare storie di donne che sono lo specchio della sua condizione personale. La realtà universale della strada rappresenta la vulnerabilità dell’'uomo, la partenza e l'arrivo e l'incognita dei percorsi. Altero ed umanissimo, Hejira è un lavoro così perfetto liricamente da far sembrare la musica non sufficiente a contenere tutte le emozioni espresse. In Mitchell c'è sempre un qualcosa di più: l'arte della pittura, della letteratura, ma soprattutto il dilemma di sempre ossia del momento che divide

Aerosmith – Rocks' (1976, Columbia)

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La più eroica e spettacolare band di metal-rock made in Usa. I Led Zeppelin d'oltre ocea­no dalla gustosa accessibilità melodica, ma capaci di stringere con destrezza i bulloni del rock più verace. Quest'album, atteso al varco dopo il successo incre­dibile di Toys In The Attic, è la zona franca ai confini dell'heavy metal che si nutre dell'essenza vitale del rock and roll. Umori al vetriolo, riffs inediti ed entusia­smanti, melodie ruvide ed adre­nalina ai massimi livelli con il tandem Joe Perry - Steve Tyler ad esplorare i lati più spigolosi del rock. Rocks è l'urlo metallico e lacerante del nuovo rock and roll americano, prosecuzione ideale delle espressioni d'acciaio iniziate con gli Stooges e affoga­te poi nel lifting irrispettoso dei Grand Funk Railroad. Un sound in continua ebollizione con i distorsori sempre accesi, con accelerazioni vertiginose e di torrenziale potenza che sono i presupposti di un rock consacra­to ai posteri. 1900-2000 Musica dal

Weather Report - Heavy Weather (1975, CBS)

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Dopo la trilogia afro-latina introdotta con Mysterious Raveller, l'asse musicale del ‘Bollettino Meteorologico' si sposta verso una musica totale legata alla concezione di colore e di sfumature dal lirismo estre­mamente raffinato. Un ulteriore passo avanti con un sound spo­gliato da qualsiasi idiosincrasia e portato a una dimensione di completa musicalità. Heavy Weather è il   nesso di quei fili illogici al confine tra jazz moda­le e fusion. Un itinerario di cui Zawinul e il cervello, Shorter l'anima, Pastorious il raccordo. La perfetta geometria di un suono incastonato dentro fra­seggi ritmici impressionanti, elettronica in movimento e lun­ghe linee melodiche dal grande impatto comunicativo, che danno pienezza alla creazione collettiva. Otto composizioni che vanno a riempire definitiva­ mente l'enorme puzzle musicale iniziato con I Sing The Body Electric è un disco che all'epoca vendette mezzo milione di copie, fatto senza precedenti per un album jazz. 1900

Keith Jarrett - The Köln Concert (1975, ECM)

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L’immaginazione è una parola negativa in termini di creatività, perché si basa sulla memoria. La creatività si basa su un'altra memoria, diversa da quella dell'immaginazione. Secondo me la miglior musica è sempre quella che suona come se non ci fosse stato nulla di scritto prima di essa. Se possibi­le, bisogna sempre tornare e ripartire dal silenzio". Con que­ste parole Keith Jarrett esprime­va il suo personalissimo concet­to di musica fatto da continue scoperte. Settanta minuti d'im­provvisazione geniale, un conti­nuo smussare pensieri musicali in evoluzione con impostazioni fluide e un particolare use per­cussivo delle tastiere. Jarrett non è un caposcuola, non ha discepoli devoti, eppure e un maestro unico. Il 'concerto di Colonia' carpisce un momento di grandissima creatività. Il pia­nista sceglie un suono o una frase e la elabora estemporanea mente, senza premeditazione alcuna, solo con meravigliosa spontaneità e gusto imprevedi­bile. Passaggi veloci, prep

Patti Smith – Horses (1975, Arista)

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Il rock poetico e disperato che discende direttamente dalla decadenza malata dei Velvet Underground e dalla violenza elettrica degli Stooges. Canzoni incredibili che non si smarriscono nel deserto della megalopoli, ma restano minacciose all'ango­lo della strada e non si fanno abbagliare dalle luci al neon sempre uguali, ma rimangono nella penombra, consapevoli di come andrà a finire la storia. Patti Smith, sacerdotessa delle tenebre e dei disadattati, musica i suoi deliranti poemi di amore e morte e canta la New York disin­canta del realismo metropolita­no di Mike Spillane e Andy Warhol, di Lou Reed e dei Blue Oyster Cult. Prodotto da John Cale, Horses è un gioiello amaro dai flash accecanti, dalle violen­ze affilate come uno stiletto. Un pericolo strisciante che spezzerà le regole dello star system arri­vando nei top 50 di Billboard senza alcun singolo apripista e con pochissima promozione. Il trionfo del nuovo underground. 1900-2000 Musica dal pianeta terra. Dal Jazz

Steve Reich - Drumming - Music For Mallet Instruments, Voices And Organs - Six Pianos (1974, Deutsche Grammophon)

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La risposta alla compenetrazione culturale tra Oriente e Occidente, tra la musica colta e quella popolare. La musica di Reich e una rivelazione som­messa, bisbigli interiori che fanno distinguere il moto dal­l'immoto dei suoni come se si fosse in uno stato di ipnosi o meglio ancora di mesmerizza­zione totale. Drumming... è l'o­pera più ambiziosa e completa di Reich. Un lavoro ricco di allu­sioni metafisiche dove una guai­na surrealistica avvolge queste composizioni per mezzo del phasing ovvero dello sfasamen­to ritmico in apparenza imper­cettibile di una stessa frase musicale o di un accordo e sovrapponendo l'intensità del volume in una sorta di ciclo cir­colare che ritorna sempre al punto di partenza. Reich scopre l'Aleph ed è in grado di osservare tutte le situazioni sonore dalla prospettiva pin giusta: quella che trascura la geografia e si fa beffa della falsa logicità del mondo. Un manifesto duro, a volte inaccessibile, ma di una bellezza estatica che anticip

Ry Cooder - Paradise And Lunch (1974, Reprise)

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Camaleontico talento "dal suono giusto al momento giusto", come lo definì il famoso critico Jon Landau, Cooder dopo la ruralità del blues e della folk-song giunge al jazz, ennesimo atto di fusione nel suo particola­re percorso ideologico-musicale che ridefinisce magistralmente gli idiomi della musica tradizio­nale nordamericana, dal country al tex-mex. Paradise And Lunch è un modello di riferimento e di sintesi di tutti gli stili toccati precedentemente in album come Into The Purple Valley e soprattutto Boomer's Story dove le esperienze e i ricordi di questo incredibile polistrumentista losangelino diventano la grande unificazione della pop music. In anticipo su tendenze e revival Ry, Il cultore delle radici crea una forma suprema di canzone popolare fondendo elementi e accenti tra favolosi duetti con il grande pianista Earl Hines, tri­buti a Bacharach e Blind Willie McTell, gospel e il più genuino R&B. 1900-2000 Musica dal pianeta terra. Dal Jazz al Rock 200 CD da

Robert Wyatt - Rock Botton (1974, Virgin)

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Suoni e sospiri di un uomo distrutto nel fisico, ma spiri­tualmente integro come pochi. Wyatt ritrova se stesso e l'inizio di una nuova vita proprio quan­do stava per perderla. Costretto su una sedia a rotelle, Wyatt realizza insieme ad amici canterbu­riani di vecchia data come Richard Sinclair, Hugh Hopper e uno straordinario Mike Oldfield, uno dei più toccanti inni di pace e d'amore mai ascoltati. Non c'è più la lucida follia dei Soft Machine, ne la psicoritmia anar­chica dei Matching Mole, ma una musicalità dolce pervasa da un senso di commovente tranquillità e una voce roca che sembra quasi sottolineare i pas­saggi di questa eterea e sognan­te dimensione. Rock Botton è un fascio di luce radioso che entra dalle finestre dell' anima per esaltare l'imperscrutabile grandiosità della vita. Un'energia purissima ed emozionante rin­tracciabile per certi aspetti sola­mente in meraviglie dimenticate come The Cycle Is Complete di Bruce Palmer e Sonic Seasonig d

Jackson Browne - Late For The Sky (1974 Asylum)

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Le canzoni di Jackson Browne sono state un dolce inganno di cui abbiamo avuto bisogno, un posto sicuro in cui rifugiarsi quando altrove non vi era che desolazione. Late For The Sky è un capitolo fondamentale della sua storia che il tempo ci ha insegnato a valutare, a soppesa­re in termini di grandezza poetica. Infatti, per quel suo modo colto di comporre musica abbi­nata a liriche su intime riflessio­ni del vivere, Jackson fu deno­minato il "cantautore più lettera­to di Los Angeles". Questo `Vecchio' ragazzo che a 20 anni aveva capito tutto, a cominciare dal tempo che scorreva intorno a lui, con Late For The Sky sintetizzò abilmente le esigenze dei sentimenti e delle emozioni verso il quotidiano fondendole con le speranze e le disillusioni dell'uomo comune. Jackson Browne è stato tutto questo. Un vetro trasparente, un idealista capace di realizzare un ponte virtuale tra la strada e il cielo, tra la realtà e lo spirito avendo dalla sua quella invidiabile dote

Herbie Hancock - Head Hunters (1974, Columbia)

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Talentuoso tastierista della dinastia davisiana, Hancock fu uno dei primi musicisti jazz ad assimilare velocemente gli insegnamenti del Divino. Gli Head Hunters erano una forma­zione che ricalcava il modello Weather Report, con la quale Hancock elimina dalla sua musi­ca le precedenti geometrie obli­que di Sextant e Crossings a favore di un sound più diretto e immediato. Quest’album è la definitiva consacrazione della fusione della West Toast che si avvicina e si amalgama sempre pin direttamente con il funky. Un capitolo che diventa trasci­nante nella sua scarnificazione alle intelaiature troppo spesso cristallizzanti a favore di una forte scansione ritmica, dove la fusion acquista una dimensione ancora più ampia e libera. Lo strumento bandiera per questa piccola rivoluzione nella rivolu­zione e il sintetizzatore ARP che Hancock suona per la prima volta in due differenti modelli, creando cosi un approccio riu­scito e senza incertezze verso il suono elettronico realizzato pre­cedentement

Bob Marley & The Wailers - " Natty Dread (1974, Island)

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Il più importante, poetico raffinato album di reggae-music. Calore, ritmo, ma anche mes­saggio politico e rinascita cultu­rale di un popolo. Ovvero un colpo al cuore e uno allo stomaco che parte dalle bidonvilles di Kingston per arrivare alla mitica Babilonia. Il reggae di Marley va oltre l'esaltazione Rasta e dei Dreadlocks ed entra nel profon­do di una realtà emarginata che vuol far sentire la sua voce. Natty Dread è un lavoro efficace e immediato e con Marley si ripetono i corsi e ricorsi storici della black music, che al di la del fatto prettamente musicale (il reggae è musica epidermica­mente povera fatta di accordi­base semplici, di ritmiche tutte in levare e backin' vocals dolce­mente ripetitivi), è la constata­zione di come, ancora una volta, nella cultura afro-americana è la musica il ruolo fondamentale ed egemone, nonché veicolo princi­pale di ogni senso di ribellione. Qui troviamo tutto il credo filo­sofico-religioso-rivoluzionario dei Rastafari, la Toro fede misti­

Neil Young - On The Beach (1974, Reprise)

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Il lavoro più drammatico, triste e doloroso di Young, se si escludono le estemporanee night-sessions di Tonight's The Night, ma anche quello meno negativo. Neil Young mette a nudo le sue esperienze facendo­ne un punto di forza realizzan­do sei incubi agghiaccianti, tetri ed impenetrabili e due rifugi malinconici per il cuore. Storie di morte raccontate da chi è sopravvissuto, ricordi vicini e lontani che vengono rivisti con significati rivelatori. Intanto lo spettro di Charles Manson vaga per le dune di Laurel Canyon, le ambulanze sfrecciano nella notte, e una spiaggia solitaria è lì per parlare con se stessi. Con questi blues apocalittici 'The Loner' si rende conto di aver sbagliato a voler raggiungere a tutti i costi e troppo presto i suoi ideali: di qui il fallimento e la confusione. On The Beach è una introspezione esistenziale con evidenti sottintesi psicoanalitici in un misto di irreale e quotidia­no, di bisogno-abbandono, dove per la prima volta Neil Young vive

Roxy Music - For Your Pleasure (1973, EG)

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Il punto d'incontro per tendenze eterogenee e spesso discordi, ma ugualmente proiettate verso concezioni nuove di sono­rità e strutture pop. Basato sui tappeti sonori di un estroso conte come Eno, di un ex-pitto­re dandy come Brian Ferry, di un sassofonista intellettualoide come Andy McKay e di un chitarrista prodigioso come Phil Manzanera, il progetto Roxy Music divenne il riferimento di un pubblico scelto ed attento. For Your Pleasure (con Amanda Lear e pantera in copertina) è la celebrazione delle possenti solu­zioni sonore messe a punto con il precedente album d'esordio. E un girovagare elettronico per il rock'n'roll anni '50 dagli aggan­ci imprevedibili che sfociano a volte in parodie di frenetica ingenuità, altre in libere forme di uno strano e penetrante jazzi­smo, altre ancora in splendide ballate elettronico-futuriste ric­che di glamour. Nonostante i continui egoismi dei componen­ti e le passioni elettroniche di Eno the venivano sempre meno incontro alle es

Robert Fripp & Brian Eno - No Pussyfooting (1973, EG)

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Due per due. Due musicisti-macchina. Due tracce di venti minuti di composizioni spontanee. Due periodi di impressionante ricerca sonora per uno dei lavori più importan­ti di sperimentazione elettronica mai realizzati. Inizia cosi il sodalizio artistico tra Robert Fripp e Brian Eno, due perso­naggi tra i più enigmatici della musica rock. No Pussyfooting è il primo di una serie di collabo­razioni che porteranno incredi­bili strategie sonore e un mutamento radicale all'interno della musica rock. Registrato in casa di Eno in un solo pomeriggio, questo disco crea un precedente per intere generazioni di speri­mentatori e minimalisti del suono. L'eclettismo di Fripp e il suo cinismo maniacale per lo strumento trovano il giusto complemento con il rigore intro­spettivo di Eno. Una sequenza imprevedibile di assolo liberi che si dribblano in giri frenetici, si aggrovigliano tra le traiettorie dei sintetizzatori manipolatori di Eno, modificati, rallentati, fil­trati in un magma so

Pink Floyd - The Dark Side Of The Moon (1973, Harvest)

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Il disco che dal 17 marzo 1973 ad oggi e rimasto più a lungo nelle charts dei 200 album più venduti negli Stati Uniti. Ancora non completamente avvolto dagli stessi incubi del vecchio `diamante pazzo' Syd Barret, spettro della genialità paranoide che comunque aleggia ossessivo su quest’atto creativo dei Pink Floyd, Roger Waters manovrò una clamorosa svolta alla storia della band con un radicale cambio di angolazione verso una musica effettistica e di grande impatto, distante anni Luce dai sogni psichedelici di The Piper At The Gates Of Dawn e dal rock cosmico di Ummagumma e Atom Heart Mother. Nove mesi di lavoro appassionato e totale in sala di registrazione per offrire un'opera dal fascino meticoloso e compiacente dominata da composizioni che si rincorrono tra di loro e s'intersecano tra tastiere liquide ed assolo sognanti. Un sound lirico e impalpabile dove si respirano atmosfere orwelliane fatte di ballate fantasmagoriche e visionarie sull'impossibilità di comu

Stevie Wonder - Innervisions (1973, Motown)

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Stevie Wonder ripercorre l'albero genealogico della propria negritudine alla ricerca delle radici della musica afroamericana. Musica che, pur evolvendosi con contaminazioni bianche, rimane sempre straordinariamente popolare, legata alle proprie matrici e ai colori dell'antica terra aldilà dell'oceani. È un patrimonio imponente che tocca il dolore del blues, la speranza del gospel, la sensualità del funky sino all'urlo del puro R&B. Più seducente e introspettivo di Talking Book e meno dispersivo del pur monumentale Songs In The Key Of Life, questo album è la perfezione assoluta che coinvolge con il suo respiro corale l'intero universo delle sensazioni nere. Un CD dalla bellezza estetica e dal rigore profondo, forse la più ambiziosa e completa opera black insieme a What's Goin On' di Marvin Gaye in cui il messaggio sociale, la spiritualità e l'amore infinito si convogliano nell'eterno "back to the roots". Brani sensazionali che finiscon

Mike Oldfield - Tubular Bells (1973, Virgin)

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Con un demo chiamato provvisoriamente Opus 1 che nessuna casa discografica aveva accettato per la sua scarsa commerciabilità, il giovane Mike, appoggiato da Richard Branson, fondatore della piccola label Virgin, si rinchiude per nove mesi nel Castello di Manor e realizza una lunga, affascinante suite di 50 minuti nella quale si combinano magnificamente antichi e nuovi sogni: un caleidoscopio di sonorità acustiche ed elettriche distribuite tra memorie folk, influenze classicheggianti da Sibelius a Debussy, echi incontaminati del Canterbury Rock. Un poema impressionistico dal suono ricchissimo e avvincente dove il tema conduttore si ripete e si trasforma in continuazione con sottili passaggi, con frasi melodiche esplorate e sviluppate in progressione. Album ambizioso e di fine cesellatura sonora che esalta l'incredibile poliedricità di Oldfield in un lavoro minuzioso e quasi maniacale di tecnica di sovraincisione che richiama certe composizioni di Bo Hansson e la sua opera is