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Visualizzazione dei post da agosto, 2010

Herbie Hancock - Direct Step (1979, Columbia Japan)

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La registrazione “ direct-to-disc “, cioè l'incisione immediata sul master in acetato e non su nastro: in pratica il musicista suonava ' in diretta' senza interruzione e senza post-produzione. La Sony offrì ad Herbie Hancock la possibilità di sperimentare questa nuova tecnica in quanto il musicista , dopo aver introdotto una serie di tastiere elettroniche nella sua jazz band ( multi-moog, prophet, arp, yamaha CS-40 , vocoder, etc. ) era affascinato dalla ricerca timbrica e tecnologica applicata al jazz funk. A Tokio, tra il 17 e 18 ottobre 1978, Hancock incide tre lunghissimi brani tratti dalla sua produzione recente: “ Butterfly “, “ Shiftless Shiuffle “ e " I Thought It Was You “. I musicisti erano quelli del suo più famoso gruppo elettrico: Alphonse Mouzon alla batteria, Bennie Maupin ai fiati, Bill Summers alle percussioni, Paul Jackson al basso, il chitarista Ray Obiedo e per la prima volta vi era un secondo tastierista, Webster Lewis. Sono tre esempi chiari d

Burt Bacharach – A&M Gold Series (1991, A&M)

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Appunti della miglior sartoria pop. Dietro un’apparente semplicità, le sue proposte sono quanto di più geniale ed ammaliante la musica americana possa offrire. C’è l’eredità di Porter e di Gershwin dietro queste canzoni. Bacharach sviluppa il tema melodico e gli costruisce intorno sezioni d’archi separate, poi lavora l’introduzione e il finale del brano singolarmente, fuori dal contesto, e lo assembla per chiudere il tutto. Ogni elemento è finalizzato al sostegno della linea melodica. Una metodologia di lavoro per "musica strumentale" in cui anche il testo (Hal David) diventa una specie di partitura orchestrale. In questa antologia riferita ai suoi lavori solistici  del periodo A&;M, dal 1965 al 1971, c’è tutto il talento di "venditore" di miele ed infinito: Raindrops Keep Falling On My Head , I'll Never Fall In Love Again , I Say A Little Prayer , (They Long To Be) Close To You e melodie che afferrano stelle e pianeti: What The World Needs Now Is Lov

George Winston - December (1982, Windham Hill Records)

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Estrema raffinatezza, cultura folk e perfezione tecnica, queste le doti indiscutibili del pianista americano George Winston. Per la sua musica si coniò il genere musicale chiamato new age e la “ moda “ dei dischi strumentali. “ December “ è il terzo atto della trilogia iniziata nel 1980 con “ Autumn “ e proseguita con “ Winter Into Spring “. Composizioni per solo piano ispirate a canti natalizi appalachiani, ucraini, greci, francesi , inglesi e alcuni originali che fanno parte di un progetto ben definito, ovvero musica “ di “ un ambiente e non “ per “ ambiente. Flussi inarrestabili di armonia, melodie che crescono silenziosamente. Il suono è purissimo e il panorama conoscitivo si allarga, perche nella musica di Winston, anche se ha un background folk e blues , c’è una inconfondibile organizzazione classica. Un album intenso come pochi, di forte spiritualità e amore per la natura. Venderà un’ enormità ,Will Ackerman e la sua casa discografica Windham Hill sentitamente ancora 

Robert Kraft – Retro Active (1982, RCA)

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Esiste tutta una categoria di cult-musicians destinati, purtroppo, a restare tali. Uno da ascoltare anche se in ritardo è Robert Kraft che come songwriter scelse la strada più difficile. Ora si dedica  a musiche per film, ma all’inizio degli anni Ottanta quel suo pop jazzato dall’andamento inmaginifico è stata una specialità tanto affascinante quanto incompresa. “ Retro Active “ veniva dopo due interessanti tentativi per la RSO, “ Moodswing “ e “ un disco che non vide mai la luce,” Ready To Bounce “, pubblicato qualche anno dopo solo per il mercato giapponese. Alcune canzoni di quell’album vennero rivisitate ed inserite in “ Retro Actrive “ e sono tutte di alto rango: “ Teach me how to kiss you”, “Single, solo “, "On the west side”. La produzione è curata da Larry Carlton con una band di studio di prim’ordine, tra cui Michael Omartian, Abraham Laboriel, Jeff Porcaro, Brian Mann, la sezione fiati dei Seawind, i Pages. Tom Kelly e Janis Siegel dei Manhattan Transfer che duet

Bobby Womack – Understanding (1972, United Artists)

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La sua micidiale miscela di soul e rock influenzò i Rolling Stones (l’aveva scritta lui It’s All Over Now ), i Faces e Rod Stewart. Grandissimo chitarrista ritmico, lo si può rintracciare al meglio in There's a Riot Goin' On  di Sly & the Family Stone, Bobby Womack detto “ The Preacher ” è uno dei maestri indiscussi del soul. Registrato ai Muscle Shoals di Memphis questo è uno dei sui dischi migliori, in cui Womack esprime quella sua particolare miscela fatta di soul ruvido , incisivo dentro atmosfere pensose, ritmi reiterati e soft. Da segnalare assolutamente I Can Understanding It  che fu ripresa l’anno seguente dal gruppo funky New Birth diventando un grosso successo. Woman’ Gotta Have It  che sarà la colonna sonora dell’estate del 1972 e ripescata poi da James Taylor per il suo In The Pocket . Quindi le versioni killer di  And I love Her  dei Beatles e Sweet Caroline  di Neil Diamond ed infine Harry Hippie  di Jim Ford che si presume fosse un’ode di Bobby a suo fra

Peter Allen – Bi-Coastal (1980, A&M)

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Australiano di Tenderfield, Peter Allen è stato un grande autore e un interprete originale. In vent’anni è riuscito a scrivere pagine memorabili riprese da tanti artisti, tra cui Frank Sinatra, Patti Labelle, le Pointer Sisters, Mark Murphy e hits mondiali come “ I honestly love you “ di Olivia Newton John, “ Don’t cry out loud “ per Melissa Manchester e il tema del film “ Arthur “ scritto insieme a Bacharach e Christoper Cross, per quest’ultimo ricevette anche il Grammy Award. Sincero dispensatore di emozioni senza scadere nel banale, il suo amore per la confidenza diretta possiamo trovarlo in dischi come “ Taught by Experts “ de1976, “ I Could Have Been a Sailor “ , “ Not the Boy Next Door “ del 1983, ma soprattutto in questo “Bi-Coastal “. La produzione di David Foster qui raggiunge il massimo enfatizzando tutto il valore di Allen. Reso edotto sull’uso e l’amministrazione del pop westcoast e nel consenso totale degli elementi, Peter Allen con la sua classe ha gioco facile, perch

The High Llamas – Gideon Gaye (1995, Epic)

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Penalizzato da indispensabili filosofie promozionali fin dai tempi dei Microdisney, il compositore irlandese Sean O’Hagan alias High Llamas , aduna tra le sue note un incredibile consuntivo di arcaico e moderno pop. La sua è stata un’adolescenza passata ad ascoltare i Beach Boys di “ Pet Sounds “ e i Beatles di “ Abbey Road “, ad imparare a memoria le intuizioni jazzy degli Steely Dan , le melodie di Burt Bacharach . Tutte connessioni, queste, che hanno ben poco da dividere con la filosofia folk dell’ “ isola di smeraldo “, ma idealmente legate a tutte quella band inglesi che stabilirono il proprio punto di contatto nel colore musicale californiano più elitario. “ Gideon Gaye “ è fatto di canzoni tenere e sconsolate: tredici gioiellini che fanno vibrare le corde della memoria, rievocando fantasmi onorati dal tempo e dalle mode in uno spleen contagioso capace di allargarsi a dismisura per poi rinchiudersi nei reticolati pop più sfumati senza perdere mai la sua bellezza. Mauro Ronconi

Johnny Cash - At Folsom Prison (1968, Columbia)

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L’erede di Hank Williams e grande interprete della canzone popolare americana. Cash è stato qualcosa di imprescindibile per ogni musicista che decideva di avventurarsi nel mondo del country, del blues, del rockabilly, ma anche in quello del gospel e del rock’n’roll. Timbro baritonale, voce dura, profonda è stato per decenni la colonna sonora dell’America del mid-west, l’ America silenziosa e sconosciuta, l’America lontana dalle megalopoli. Per anni non ha conosciuto fermate o arresti, creando un legame profondo tra tutti i suoi dischi, quasi ne avesse solo uno in testa. Con questo imperdibile album l’ “ Uomo in Nero “ dell'Arkansas ,a dispetto della sua casa discografica, entra nelle case degli americani con gli stivali sporchi con un concerto commovente tenuto il 13 gennaio del 1968 nel carcere di massima sicurezza di Folson in California tra detenuti entusiasti e rispettosi. Insieme a lui June Carter e famiglia, Carl Perkins e The Family Statler Brothers. 19 canzoni che condensan

Maxwell - Maxwell's Urban Hang Suite (1996, Columbia)

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Uno degli alfieri del nu-soul. Maxwell ( nome fittizio ) è un giovane talento che possiede una geniale idea su corde ed accordi e accentuata predilezione verso stilemi melodici raffinatissimi rispetto alle normali produzioni black contemporary. “Urban Hang Suite “ è una suite di undici brani imperniata sul poema dell’amore sviscerato tra stanze piene di ricordi, temi comuni ed inflazionati come la vita di tutti giorni, osservati ed affrontati con estrema sensibilità. Un esordio che ha del miracoloso con il suo groove insinuante e fresco che , pur ispirandosi alla tradizione nera degli anni ottanta, specialmente al mellow sound di gente come Leon Ware ( qui collaboratore e coautore della magnifica “ Sumthin’ Sumthin’ “ ) , Isley Brothers, Marvin Gaye e di certe atmosfere eighties di Lonnie Liston Smith, è qui trasformato in qualcosa di irresistibile ed originale. Tutte le tracce sono di altissimo livello , tutte vanno ascoltate come completamento l’una dell’altra. Mauro Ronconi Ge

Jimmy Webb – El Mirage (1977, Atlantic)

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Una vera discesa nella canzone d’autore per un esteta del pop. Jimmy Layne Webb è un autore venerato dagli interpreti (Art Garfunkel, Glen Campbell, Kenny Rankin, Thelma Houston, Cher, 5th Dimension, Supremes, etc.). Prodotto da George Martin, “El Mirage” è per il musicista di Elk City una conquista di libertà interpretativa senza legge di mercato. Maturo, colto, sofisticato è il corredo indispensabile per tutti quei gentiluomini che hanno il pregio di prendere l’arte leggera sul serio. Webb scrive canzoni che hanno da dire molto di più di quel che sembra. Melodie intriganti che stanno in fondo ad un fiume di memorie pronte ad emergere prepotentemente: “Christiaan no” scritta anni prima per Glen Campbell,  “P.F. Sloan” per Jennifer Warnes, “The moon is a harsh mi stress” che ricordiamo nella grandiosa versione di Joe Cocker, “Mixed-up guy” rintracciabile in quel capolavoro nascosto “Sunshower” prodotto per Thelma Houston ed in origine intitolata “Mixed-Up Girl” , quindi “The

Paul Anka – Walk A Fine Line (1983, Columbia)

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Sopravvissuto alla decadenza dell’epopea musicale del Brill Building e nonostante le nuove esigenze del mercato l’avevano confinato in posizioni di retrovia esponendolo a tiepide accoglienze di quel pubblico che l’aveva amato e all’indifferenza di quello più giovane, Paul Anka, da idolo dei teen agers a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, realizza un caposaldo del pop adulto con il contributo essenziale della triade Michael Mc. Donald, David Foster, Jay Graydon. Un lavoro ammiccante quanto basta, compiuto nella sua immediatezza con alcuni brani da antologia. Second Chance sembra uscita dai Doobie Brothers di One Step Closer , i duetti di Hold Me 'til The Mornin' Comes e Darlin'   Darlin' rispettivamente con Peter Cetera e Kenny Loggins sono grandi hit di stagione. No way out dove troviamo il sax di Ernie Watts e Walk A Fine Line con le armonie vocali di McDonald sono canzoni difficili da dimenticare. Mauro Ronconi Producer : Denn

Ned Doheny – Life After Romance (1988, Polystar)

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Il fallimento commerciale di specialità incomprese come Hard Candy  e Prone spinse Ned Doheny ad isolarsi e a non esporsi in prima persona per quasi dieci anni, tornando a sognare la sua musica tra il rumore delle onde del Pacifico. L’Average White Band, Chaka Khan e George Benson provarono a destarlo dal "torpore" trasformando alcune sue composizioni in una manciata di hits come A Love Of Your Own , Watcha Gonna Do For Me , Love’s Heartache , Never Too Far To Fall , ma il musicista, per scelta personale, si teneva sempre ai limiti dell’industria discografica fino al 1988, quando con  Life After Romance , pubblicato solo per il mercato giapponese, l’artista rompe il silenzio. Da dire che in questo stesso anno Ned produsse e partecipò attivamente con tre canzoni nell’album For A Lifetime di Tony Stone: Perish The Thought,   Heartbreak In The Makiing e Life After Romance , le ultime due sono presenti anche qui. E’ un disco molto intimo, artigianale, ma raffinatissimo. L

Beach Boys – Surf’s Up (1971, Epic )

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Risvegli di un pop dalle essenze vitali. Musica che Wilson e compagnia avevano costruito in anni di capolavori , ma anche di contraddizioni, di ricerche alla luce del sole, e di album mai pubblicati. Dopo alcuni dischi caotici e di elegie psichedeliche, i Beach Boys, con un Brian Wilson a metà servizio, tornano ad un sound competitivo. L’ispirazione è vagamente legata alle atmosfere di “ Pet Sounds “ e del mitico “ Smile “, quando Brian Wilson entrò nella stanza regale del pop senza avviso per poi fare e disfare tutto ciò che lo riguardava perché non riusciva sempre ad andare avanti a tutti. “Surf’s Up “ è una passeggiata tenera e tranquilla lungo quei percorsi sentimentali durante i quali ci si esercita a coniugare il verbo pop e vive di un’affascinate ambiguità rilassante. Certe dissonanze e qualche richiamo melodico la rendono possibile, generosa anche se ad un primo ascolto sembra un disco pensato per essere esuberante senza che i suoi autori lo fossero minimamente. Segnali

Miles Davis - Someday My Prince Will Come (1961, Columbia)

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Un album essenziale dell’hard bop e uno dei migliori dischi di Davis antecedenti a quei sentieri elettrici che condurranno alle innovazioni degli anni Settanta.  Someday My Prince Will Come fu registrato in tre sedute nel marzo 1961 con il suo quintetto: Paul Chambers al contrabbasso, Wynton Kelly al piano, Jimmy Cobb alla batteria, Hank Mobley al sax tenore e due ospiti, John Coltrane (presente in due brani) e Philly Joe Jones che avevano da poco lasciato il gruppo. La title track che faceva parte della colonna sonora Biancaneve di Walt Disney è il capolavoro del disco. Un valzer lento realizzato con due sax tenori con il primo intervento di Mobley e il secondo, bellissimo, di Coltrane. Old Folks,   Drad-Dog, I Thought About You e Pfrancing sono classe e sostanza, accenni lirici e forza poetica del blues. Altra finezza con i due sax insieme è Teo , brano dedicato a al produttore Teo Macero. Un disco prezioso. Mauro Ronconi Personnel Miles Davis - Trum

Oliver Nelson – The Blues and the Abstract Truth (1961, Impulse)

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Un supergruppo con Eric Dolphy, un giovane Freddie Hubbard, Paul Chambers, Bill Evans, Roy Haynes e George Barrow per un concentrato di umori e gioia espressiva. La fervida inventiva di Nelson – sassofonista e arrangiatore finissimo – si muove su un territorio di ricerca, recuperando e riattualizzando forme blues e gospel in chiave colta . 100 dischi ideali per capire il jazz / Mauro Ronconi / Editori Riuniti Personnel:  Oliver Nelson (alto & tenor saxophones); Eric Dolphy (alto saxophone, flute); George Barrow (baritone saxophone); Freddie Hubbard (trumpet); Bill Evans (piano); Paul Chambers (bass); Roy Haynes (drums) Track List:  1. Stolen Moments 2. Hoe-Down 3. Cascades 4. Yearnin' 5. Butch and Butch 6. Teenie's Blues Oliver Nelson (Saint Louis, 4 giugno 1932 – Los Angeles, 28 ottobre 1975) Oliver Nelson nasce a St.Louis, Missouri, nel 1932. Suo fratello, sassofonista, suona con Cootie Williams negli anni Quaranta, e sua sorella canta e suona i

Norman Connors – This Is Your Life (1977, Buddah Records)

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Affermatosi prima come batterista con John Coltrane, Archie Sheep, Pharoah Sanders, quindi come compositore, arrangiatore, produttore di grande abilità e valorizzatore di artisti quali Jean Carn, Phyllis Hyman, Glenn Jones, Connors è stato uno dei primi jazzisti d intuire la possibilità di uscire dal ghetto degli “ specializzati “ con una serie di albums raffinatissimi, che mettevano in luce uno stile fatto di atmosfere jazzy, ritmi funk e melodie soul. “ This Is Your Life “ è sicuramente il suo lavoro migliore. Ogni brano ha la giusta prerogativa per piacere, da “ Stella “ in apertura, pastosa e colorata con la chitarra di Lee Ritenour che ne arricchisce la tensione ritmica, ai ritmi serrati della strumentale “ Captain Connors “, riproposta in questo CD in versione mix. Connors getta uno sguardo al pop, un altro a certa fusion e un altro ancora alle melodie jazzate di stampo latineggiante. Le atmosfere languide e rarefatte di “ Listen “ con al voce di James Robinson o il bellissimo ag

Ramsey Lewis - Sun Goddess (1974, Columbia)

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Ramsey Lewis in un grande lavoro jazz funk realizzato in parte insieme al nucleo portante degli Earth, Wind & Fire e per due terzi con il produttore Teo Macero. Una collezione di brani soul fortemente sorretti dallo spirito e dall’energia del jazz-funk in una continua esplosione di feeling, di bellezza estetica dai suoni inappuntabili e dai temi accattivanti. Un lavoro geniale se visto nei limiti di tale genere, dove la costruzione dei brani è estremamente agile ed elegante, ed i giochi ritmici sempre così intelligenti da non scadere mai nelle tentazioni “ disco “ di quel tempo. Lewis si muove con circospezione tra queste sonorità, sena disdegnare la matrice improvvisata, dove si scorge una tessitura sonora elaborata, elastica, trascinante; lo stesso uso degli archi e degli ottoni non viene mai forzato. Molto bella la rivisitazione di “ Living for the city “ di Stevie Wonder, la soul-dance in “ Love Song “ e la jazzata “ Jungle strut “, ma è la traccia che da il titolo al disco , f

Miles Davis - Workin' With The Miles Davis Quintet (1959, Prestige)

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Nel 1955 Davis mette insieme quello che sarà il suo primo fenomenale quintetto che, pur destinato ad una vita abbastanza breve, scriverà delle pagine splendide nella storia del jazz e sarà il trampolino di lancio di un genio assoluto qual era John Coltrane. La scelta su quale disco rappresenti al meglio il quintetto non è facile vista la altissima qualità delle registrazioni; le mie preferenze vanno a questo Workin’ che come i gemelli (peraltro altrettanto ottimi) proviene da due session-fiume del 11/05/56 e del 26/10/56 con i brani registrati tutti alla prima take. Brani salienti del disco sono in apertura una liricissima versione di It never entered in my mind con un dialogo serrato tra il pianoforte di Garland e la tromba con sordina di Davis dove il pathos è quasi tangibile, Ahmad’s blues – scritta da Ahmad Jamal che Davis ha più volte indicato come il miglior pianista di sempre – suonata in maniera eccelsa dalla sola sezione ritmica, Trane’s blues blues assolutamente trasve

Gerry Mulligan – The Complete Gerry Mulligan Meets Ben Webster Sessions ( 1959, Verve )

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L’incontro tra due grandi sassofonisti. Per molti Mulligan è l’incarnazione del jazz bianco e il più grande baritono di tutti tempi, qui affiancato da Ben Webster , la “ gentle side “ del sax tenore che ebbe l’unica sfortuna di agire contemporaneamente a due giganti dello strumento , lo strapotente Coleman Hawkins e il levigato Lester Young, Mulligan incide queste leggendarie sessions , pietra miliare dello swing e del bop. Il “ rosso “ pur appartenendo ad una generazione più giovane di Webster, dimostra di sapere essere un generoso interprete della tradizione. Il suo sound, oltre alle delicatezze delle ballad sa usare un sound “ dirty “, incalzante che proviene direttamente dalla tradizione di Kansas City. Tracce che si sviluppano in piena armonia, tra contrappunto e incursioni solistiche particolarmente affascinanti su tematiche famose come “ In A Mellow Tone “ di Ellington, “ What Is This Thing Called Love ? “ di Cole Porter, “ Chelsea Bridge “ di Billy Staryhorn e originals di Mull

Louis Armstrong – The Hot Fives, Volume 1 (1925 – 1926 , Columbia)

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Il periodo creativo migliore di Armstrong e uno dei momenti più importanti dell’intera vicenda jazz. Tornato a Chicago da New York su consiglio della seconda moglie e pianista Lil Hardin, “Satchmo”, oltre a suonare al Dreamland, iniziò ad incidere i primi capolavori per la casa discografica Okeh con un gruppo battezzato “The Hot Fives” , una band di all stars con i migliori musicisti di musica di New Orleans del tempo, composta da Johnny St. Cyr al banjo, il trombone di Kid Ory, Johnny Dodds al clarinetto e dalla moglie Lil al pianoforte (fu esclusa la batteria, in seguiito inserita insieme al basso-tuba con gli “Hot Sevens” nelle incisioni del 1927). La Okeh non aveva studi di registrazione a Chicago e nemmeno una sede. Mandava due volte l’anno tecnico munito di apparecchiature portatili e nel giro di pochi giorni registrava gli artisti locali sotto contratto, ovviamente quelli che reputava piu’ interessanti. Così messa da parte l’orchestra con cui era solito suonare, le sedute

Lonnie Liston Smith & The Cosmic Echoes – Expansions (1974, Flying / RCA)

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Uno dei pionieri in assoluto del jazz-funk alle prese con un caleidoscopio di stili che spaziano con disinvoltura ed eleganza anche nel soul e la fusion. “Uscito fuori“ dagli insegnamenti di McCoy Tyner, pianista acustico per Pharoah Sanders, Roland Kirk, Gato Barbieri, quindi tastierista elettrico agli inizi degli anni Settanta con Miles Davis, Smith forma nel 1973 i “Cosmic Echoes“ insieme a suo fratello Donald, ottimo vocalist. “Expansions“ è un album straordinario, anticipatore di tutto il movimento del jazz-funk elettronico . Sei dei sette brani inclusi sono firmati da Lonnie Liston Smith più un rifacimento di “Peace“ il classico di Horace Silver. Tutte composizioni affascinanti in cui l’artista crea degli assoli ritmici con Fender Rhodes tramite l’effetto elettronico del phaser su tappeti sonori 'cosmici' ed esotici. La critica disse che Liston Smith aveva colmato il divario che c’era tra John Coltrane e gli Earth, Wind & Fire. Ovvero un vero funky man dall’anim

George Benson – Give Me The Night (1980, Warner Bros.)

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Dopo che certi schemi ed idee jazz-fusion furono ritoccati dalla mano di grandi produttori come Creed Taylor e Tommy LiPuma, abili nel miscelare per Benson un connubio particolarmente orecchiabile di jazz, r&b, bossa nova e scat vocale, nel 1980 il chitarrista incontra Quincy Jones che lo conduce sui redditizi sentieri del pop-soul. “ Give Me The Night “, primo disco della nascente etichetta personale di Jones, la Qwest, è un caposaldo del genere in cui si può apprezzare, oltre alle doti si strumentista virtuoso, anche quelle di ottimo cantante. In effetti, pochi hanno saputo creare una musica da intrattenimento tra il soul e il jazz, celebrate come in questo incontro tra George Benson e Quincy Jones. Il disco è il capolavoro di “ conversione pop “ di Jones con uno tra i migliori chitarristi jazz del mondo. In “ Give Me The Night “ non si può parlare solo di jazz, fusion, pop o funky. L’album vive e si alimenta di un sound contemporaneo senza confini, sublimandosi a og