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Visualizzazione dei post da maggio, 2011

Al Jarreau – This Time (1980, Warner Bros.)

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Sotto la guida di Tommy LiPuma e Al Schmidt, Jarreau si costruì una fama di vocalist innovativo e versatile. I suoi primi dischi era una miscela sapientemente orchestrata di jazz, soul, vocalese con l’aggiunta di elementi pop che sapevano di ineguagliabile originalità. Due anni dopo “All Fly Home“ l’artista sente il bisogno di cambiare e cerca un produttore diverso dalla scuola e filosofia jazzistica dalla quale provengono LiPuma e Schmidt. Jarreau voleva invece qualcuno che lo aiutasse a migliorare le qualità in sala di registrazione , qualcuno che riuscisse a tirare fuori altri aspetti della sua personalità. C’è da dire a tal proposito che il cantante era praticamente privo di cognizioni tecniche e strumentali ed affidava al pianista Tom Canning (la sua vera ombra musicale) il linguaggio della strumentazione e il tradurre determinati schemi ed idee ispiratrici. La scelta di Jay Graydon si rivelerà vincente. L’intuito del nuovo produttore fu quello di precisare i contorni e metter

Benny Golson - Benny Golson's New York Scene (1957, Riverside Records)

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Benny Golson è conosciuto soprattutto per alcuni suoi temi degli anni '50, legati perlopiù allo storico repertorio dei Jazz Messengers. Solisticamente si tende a sottovalutarlo, già ai tempi del Jazztet il confronto su questo piano lo vinceva Art Farmer: eppure sarebbe sbaglaito considerarlo un personaggio di secondo piano, Golson pur non essendo stato un innovatore da seguire, o un solista dalla spiccata personalità, è riuscito ugualmente con il suo sassofono dal tono caldo e seducente a lasciare un'impronta nell'universo del jazz. Queste sessioni sono tra gli esempi più rappresentativi dei suoi primi lavori. Di particolare interesse è una delle sue versioni di "Whisper Not" uno dei brani più eseguiti del jazz. L’album vede la partecipazione di Art Farmer, Wynton Kelly, Paul Chambers, Charles Persip, Gigi Gryce, Sahib Shihab, James Cleveland e Julius Watkins. Whisper Not Personnel: Benny Golson (tenor saxophone); Gigi Gryce (alto saxo

Leonard Cohen – Death Of Ladies Man (1977, Columbia)

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L’incontro tra due mondi apparentemente inconciliabili: Leonard Cohen il l’uomo che ha meglio incarnato il ruolo del poeta e del musicista insieme al produttore-arrangiatore Phil Spector. Due uomini ed artisti diversissimi tra loro nel concepire e realizzare la musica. Cohen è un uomo privato, un austero commentatore di emozioni, Spector un uomo chiuso che si culla nella convinzione di potersi limitare a guardare la propria immagine riflessa in un specchio truccato. Il risultato è un album di inattesa particolarità che si muove tra il mondo lirico e profondamente carico del songwriter e l’enfasi orchestrale del wall of sound del grande produttore. Insieme scrivono canzoni semplici dai sentimenti complessi, distesi nelle proprie conquiste melodiche. In “ True Love Leavs No Tracks “, “ Paper Thin Hotel “ e “ Iodine “ l’impatto sonoro di Spector è devastante per la scorrevolezza delle meravigliose liriche, ma è disarmonia serena secondo il principio della contrapposizione degli oppos

Steely Dan – The Royal Scam (1976, MCA)

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Gli Steely Dan affondano i colpi alle fondamenta del rock contaminandola di un sound jazz e soul sempre più sofisticato ed eclettico. Donald Fagen e Walter Becker mettono a fuoco uno sviluppo musicale all’interno dell’anello ritmo melodia con uno stile armonico innovativo dovuto al grande utilizzo di clavinet, tastiere (Fagen, Paul Griffin e Don Grolnick, Victor Feldam), chitarre (Becker, Denny Dias, Dean Parks, Elliot Randall, Larry Carlton) , batteria in evidenza ad opera del formidabile Bernard Purdie, in una sorta di processo interno distaccato , privo di confronto in quanto autonomo. Questa compressione consente di costruire brani sincopati basati su schemi armonici inusuali, su una voce in continuo levare. Il risultato è un sorprendente pop-rock funkizzato con geniali richiami alla seduzione del jazz. Le tematiche di “ The Royal Scam “ prendono in esame storie di sognatori, anti-eroi, disperati e criminali legati dal filo illogico di liriche spietate , ironiche, che miscelano

The Quintet - Jazz At Massey Hall (1953, Debut Records)

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Il disco live più famoso nella storia del jazz, battezzato come “The Greatest Concert Ever”, questa incisione del 1953 vede riuniti sullo stesso palco - la Sala Massey di Toronto - alcuni tra i principali fondatori del bebop, Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Bud Powell, Max Roach e Charles Mingus, eccezionalmente assieme per la prima e unica volta. Come spesso accade in questi incontri di all-stars nessuno dei protagonisti raggiunge i propri livelli della propria attività solista, tuttavia in questo concerto non mancano momenti memorabili, come nell'incredibile versione di Salt Peanuts, in Hot House e Wee. Un disco indispensabile per ogni appassionato di jazz. FreeVideoCoding.com The Quintet: Charlie Parker (alto saxophone); Dizzy Gillespie (trumpet); Bud Powell (piano); Charles Mingus (bass); Max Roach (drums). Recorded live at Massey Hall, Toronto, Canada on May 15, 1953 Tracks: 1. Perdido 2. Salt Peanuts 3. All The Things You Are/52nd Street Theme 4.

O'Jays - Back Stabbers (1972, Philadelphia International)

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Agli inizi degli anni Settanta la scuola di Philadelphia modernizzò lo stile Motown presentando numerosi artisti che stimolarono tutto l’ambiente soul del tempo. Il team di compositori , musicisti, arrangiatori che lavoravano negli studi Sigma Sound diedero un nuovo impulso alla musica con nera con arrangiamenti e tecniche di registrazione all’avanguardia creando una vera catena di montaggio fra i vari operatori, specializzandone al massimo le funzioni. Tracciando il parallelo con Detroit, si può dire che gli O’Jays sono stati i Four Tops di Philadelphia. Il gruppo si formò alla fine degli anni Cinquanta come quintetto vocale che comprendeva Walter Williams, Bill Isles, William Powell, Eddie Levert e Bobby Massey, si facevano chiamare The Triumph nome poi cambiato con quello di The Mascots , quindi in quello definitivo The O’Jays quale tributo al disc jockey concittadino di Cleveland Eddie O’Jay che li lanciò via radio con una programmazione a tappeto dei loro demo facendogli

Amy Holland - On Your Every Word (1983, Capitol)

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A distanza di tre anni dal suo primo omonimo album Amy Holland registra questo lavoro di A.O.R. prodotto, come il precedente, da Michael McDonald che di lì a pochi mesi diventerà suo marito. Lei, come poche chanteuse in California, riesce a mettere su un prodotto di grande raffinatezza degna dei migliori album del genere. Sono canzoni che offrono tutti gli aspetti del pop westcoast mantenendo quella progressione naturale, quel suono immediatamente riconoscibile, ma non per questo scontato e di maniera. Le due splendide ballate You And I  dei Pages e il duetto con David Pack in I Still Run To You sono un ritratto acceso di sensibilità melodica. Quando entra in azione McDonald le idee blue eyed soul vengono espresse al meglio come in I Hang On Your Every Word che McDonald riprenderà due anni dopo per il suo No Lookin’ Back , Rollin’ By   cofirmata con Ed Sandford e l’occhiata doverosa al r&b anni Sessanta con Shake Me, Wake me di Holland/Dozier/Holland. Di primissimo ordine anch

Little Feat - The Last Record Album (1976, Warner Bros.)

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I Litte Feat sono una band anticaliforniana quando la California, lo stato magazzino con le insegne al neon, diventa paradiso dei pellegrini, dei diseredati, degli sfortunati, dei perdenti e dei sognatori. Loro sono dei nemici involontari che spiegano un male che pochi osservano perché accecati dal bene. La California di Lowell George e compagni è molto provinciale, tante casette sparse, un quadro rassicurante e naif. E’ la megalopoli che inquieta l’animo. E’ la Los Angeles dello smarrimento, del benvenuto di convenienza. E’ quella di Jackson Browne in “ The Late Show “, degli Steely Dan su “ Glamour Profession “, di Terence Boylan in” Sundown Of Fools “, degli Eagles di “ The King Of Hollywood “. E’ quella delle paure notturne, della solitudine e del ricordo. Quello di artisti che hanno fatto del riserbo la loro arma migliore: John David Souther, Danny O’Keefe, Warren Zevon occasionalmente Joni Mitchell (Court And Spark) , Marc Jordan (Mannequin), Tom Waits (Foreigner Affairs) , Ra

Manhattan Transfer - Extensions (1979, Atlantic)

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Un produttore dalla spiccata personalità può decidere anche tutto, altri meno forti possono essere semplicemente ragionieri del suono. Cheryl Bentyne, Tim Hauser, Alan Paul e Janis Siegel sotto la guida di Graydon si spostano verso una più matura citazione sentimentale di quel pop-jazz di cui critica e pubblico avevano bisogno come del pane per convivere finalmente con un ibrido che non fosse il solito equivoco sonoro. Jay Graydon li cattura tra pop e jazz così bene , che a malapena se ne distinguono i confini, donandogli una personalità nuova e potente dove si lavora più in gruppo che col singolo talento. “ Extensions “ contiene canzoni meravigliose, arrangiamenti brillanti, esaltanti armonie di contorno. Una musica che possiede un richiamo terribilmente convincente, manifestato da una tale capacità di estensione (di cui al titolo) da condurla con disinvoltura verso una miriade di riferimenti riferimenti differenti (ritmi esotici, A.O.R liquoroso, jazz dal vago accento epico, turbin

Bill Cantos – Who Are You (1995, Pioneer Japan)

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Concepito a Los Angeles da una comunità di musicisti attivi come un tempo, questo album è un gradito ritorno a certe consuetudini A.O.R. Westcoast. Bill Cantos è un tastierista, cantante, autore e produttore di San Diego, che dopo o essersi diplomato al New England Conservatory of Music di Boston, fu ingaggiato nel 1988 da Jay Graydon e Clif Magness come session-man per l’album “ Gemini “ di El DeBarge. Trasferitosi a Los Angeles iniziò la sua carriera professionale suonando con David Foster, Freddie Hubbard e Diane Schuur, pubblicando nel frattempo due lavori a nome “ Sibling Revelry ", un gruppo formato da Cantos insieme alle sorelle Rita e Roxanne. . Il suo primo lavoro fu pubblicato nel 1992 a nome di “ Brentwood Jazz / The Bill Cantos Project “ , disco di Contemporary Christian Music molto jazzato, quindi nel 1993 partecipò come autore e musicista all’album “ Airplay For The Planet “ di Jay Graydon ( uno dei brani più belli di quel disco, Roxanne è dedicata proprio a sua so

Kelly Willard - Willing Heart (1981, Maranatha!)

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Dal suo esordio discografico nel 1979 ad oggi , Kelly Willard ha sempre profuso un forte senso spirituale nella sua musica. Pianista, cantante e autrice, si trasferì giovanissima in California dove entrò a far parte del movimento dei “ Musicisti di Gesù “ suonando con Roby Duke, Tommy Coomes e Bob Bennett. Per la Maranatha! , la casa discografica californiana specializzata in Contemporary Christian Music, ( Teri Desario, Lenny LeBlanc, etc.) incise il primo album intitolato “Blame It On The One I Love“ dimostrando grandi doti vocali e sensibilità compositiva. “Willing Heart“ è la sua seconda prova che, oltre ad essere considerato un capolavoro di C.C.M., è anche riconosciuto come uno dei migliori album di pop westcoast. Infatti il sound mantiene nelle composizioni sempre un’impronta marcatamente A.O.R. ovvero quell’edificante equivoco estetico di atmosfere californiane e raffinate melodie che ben si adattano al calore del messaggio spirituale delle liriche. Su tutti, due momenti ma

Carole King – Music (1971, Epic)

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Indiscussa first lady della musica pop americana, Carole King pubblica questo album dieci mesi dopo l’exploit di “ Tapestry “, uno dei dischi più venduti nella storia della musica con quattro Grammy Awards vinti. L’eco di quello stupendo collage è forte nei solchi di “ Music “ . Produzione sempre affidata a Lou Adler, orchestrazioni oculate e miscelate ottimamente, melodie forgiate con venature ritmiche molto r&b che conferisce al lavoro una varietà di esposizioni e sfaccettature al caldo ed ispirato pentagramma musicale dell’artista. Pur non avendo lo stesso senso stilistico unitario , “ Music “ è un grande disco con almeno cinque canzoni da antologia: l’inziale “ Brother, Brother “, quasi una risposta alla “ What’s Going On “ di Marvin Gaye con il suo incipit di percussioni e il messaggio di fratellanza, quindi le melodie sublimi di “ It’s Going To Take Some Time “ portata poi al successo dai Carpenters e “ Song Of Long Ago “ con un bel cameo di James Taylor ai cori e alla chita

Crusaders – The Vocal Album (1987, MCA)

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Con una discografia alle spalle di oltre 50 album i Crusaders sono a tutti gli effetti gli inventori del soul-jazz. Partendo dal settore jazzistico questo gruppo si avvicinò sempre di più agli schemi del r&b e del pop premmettendo allo stesso jazz contemporaneo di sopravvivere con sicurezza alle seguenti mode musicali. Attivi già nei primi anni Sessanta con il nome di Jazz Crusaders, la formazione base comprendeva Joe Sample, Wilton Felder, Stix Hopper e Wayne Henderson a cui si aggiunsero nel 1971 Larry Carlton e Robert Popwell cambiando poi il nome in Crusaders. Dopo varie defezioni nucleo si stabilizzò nel duo Sample, Felder inaugurando poi sempre nuove formazioni con musicisti del giro jazz-fusion. A partire dal 1979 una delle caratteristiche vincenti è stata quella di includere nelle loro incisioni brani cantati. Questa antologia riunisce alcune delle loro migliori canzoni fatte di jazz, soul, funky e pop dove si alternano degli interpreti strepitosi : B.B. King, Randy Craw

Helen Reddy – Imagination (1983, Geffen)

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Cantante australiana di Melbourne , Helen Reddy ebbe il suo momento di massima popolarità verso la metà degli anni Settanta (Angie Baby , I Am Woman, You’re My World). Questo album è una produzione a regola d’arte di A.O.R. abbastanza atipica per il suo repertorio. Vocalist dolce ed aggressiva ad un tempo interpreta con profondità e convinzione canzoni pregevoli, pungenti, gradevolissime. E’ abile seduttrice sia quando affronta la ballata come in “ A Winner In Your Eyes “ di Randy Goodrum che quando interpreta mezzi tempo californiani come “ The way I Feel “ di Eric Kaz e Wendy Waldman e quelli soulful di “ Let's Go Up “ di Franne Golde. Due grandi canzoni dal refrain diretto come “ Handsome Dudes “ di Barry Mann e “ Looks Like Love “ del cantautore country Keith Stegall più un gioiello pop come “ Yesterday Can't Hurt Me “ di Dennis Lambert e Brian Porter fanno di questo disco un vero must dell’A.O.R. più raffinato. Splendida la realizzazione tecnica in sala di registrazione e

Roddy Frame – The North Star (1998, Sony)

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Considerati gli illustri trascorsi, ogni qualvolta il “ pure pop “ d’oltremanica regala un segno della sua esistenza, ci si augura sempre di trovarsi di fronte quel lavoro dalle idee trainanti ed ispirazioni sincere che lo rendano gemma preziosa. E allora, tra sottili giochi di rimandi, estenuanti ricordi e fatali connessioni che ci riportano alla mente decine di paragoni, l’elenco comparativo scorre veloce in mezzo ai vari ” Steve McQueen”, “ Raintown “, “ Hats “, “ Meet Danny Wilson “, “ Skylarking “. Roddy Frame, ex Aztec Camera, viaggia in questo universo sonoro a stretto contatto con altri personaggi chiave delle vicende pop come Paddy McAloon, Andy Partidge, Paul Buchanan, artefici di un sound dalle contaminazioni imprevedibili. Frame è lentamente caduto nel limbo delle superstar mancate, condannato dalle luci posticce dello show biz ad essere soltanto il punto di riferimento di pochi intimi e impalpabilità per la massa. Questo album, il primo a suo nome, anche se meno levigato

James Taylor – Mud Slide Slim And The Blue Horizon (1971, Warner Bros.)

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Il terzo album di Taylor fu il disco della perdita dell’innocenza. Per stessa ammissione dell’artista i primi due, nonostante le alienanti difficoltà esistenziali di cui soffriva, avevano rappresentato la gioia e la libertà di fare musica. Con “ Mud Slide Slim And The Blue Horizon “ il cantautore si scopriva un’azienda, un lavoratore a tempo pieno nel campo musicale, un’ape operaia che doveva produrre soldi e tenere occupati agenti, manager, impresari, discografici, contabili. La spinta creativa traeva linfa dalle recenti vicende personali: il travolgente e combattuto rapporto sentimentale con Joni Mitchell, consumatosi fra l’autunno del 1969 e l’inverno del 1970; la morbosa attenzione dei mass media per il nuovo personaggio pubblico; la pericolosa spirale di insicurezza e di altalenante depressione provocata dalla fama…Sul fronte musicale aveva ingaggiato l’amico Danny “Kootch”, gli altri membri dei Jo Mama, il gruppo di Kortchmar, e ancora Carole King – alla quale aveva reso il

Eagles - One Of These Nights (1975, Asylum)

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Le registrazioni per questo disco furono lentissime. Nessuno, memore delle esperienze, dava minimo ritorno di ciò che accadeva alla stampa, che intanto pressava per avere notizie sul perché la band non capitalizzasse il successo di The Best Of My Love. Irving Azoff, degno rappresentante consapevole del momento di transizione dei suoi ragazzi, la buttava sulla prosa «si tratta di levigare le asperità, la band sente di avere un obbligo nei confronti del mondo della musica, vogliono mantenere un certo livello qualitativo e vogliono prendersi tutto il tempo necessario». Chi beneficiò maggiormente dei lunghi tempi di realizzazione dell’album fu Randy Meisner, la cui voce divenne fulcro per buona parte delle canzoni, come Take It To The Limit (in cui dava alla luce la sua migliore performance, probabilmente di sempre) e Too Many Hands. L’album venne consegnato alla storia, e contemporaneamente in tutti i migliori negozi di dischi, il 10 Giugno del 1975: sei canzoni su nove erano timbrate He

Kenny Loggins - High Adventure (1982, Columbia)

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Adeguamento d’effetto al filone estetico del pop di alta classe per proseguire la marcia verso quelle particolari direzioni sonore che riescono ad accarezzare il soul “ flirtando” con la musica rock. Repertorio variegato che passa dall’energia elettrica di “Don’t Fight It” supportato da Steve Perry e “Swear Your Love” alle atmosfere rarefatte ed acustiche di “Only a Miracle” dedicata al figlio Crosby Sullivan e “The More We Try” . Ma è quando affronta il territorio della contaminazione stilistica tra nero e bianco che Loggins sigla due capolavori assoluti: “I Gotta Try” conosciuta anche nella versione del solito co-autore Mc.Donald e la sublime “Heart To Heart” , uno dei più grandi brani A.O.R. mai scritti. Mauro Ronconi Producers: Bruce Botnick and Kenny Loggins Musicians: Drums: Dennis Conway, Tris Imboden Guitars: Kenny Loggins, Neil Geraldo, Mike Hamilton, Steve Lukather Bass: Mike Hamilton, Vernon Porter, Abe Laboriel, Derek Jackson, Nathan East Keyb

Michel Colombier- Michel Colombier (1979, Chrysalis)

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Il produttore Denny Diante ( Paul Anka, Johnny Mathis, Tina Turner, Neil Diamond, etc. ) aveva chiesto a Michel Colombier e Larry Carlton una rivisitazione in chiave jazz-rock delle “ Quattro Stagioni “ di Vivaldi , operazione che tra l’altro era stata realizzata nel 1965 da un altro musicista francese, il pianista Raymond Fol con un Big Band composta da strumentisti americani e francesi. Colombier era affascinato dal progetto, ma Carlton rifiutò e così compose da solo questi undici brani originali , esempio superbo di jazz-fusion di quel tempo. L’album fu registrato a Los Angeles, Londra e Miami con la partecipazione della London Symphony Orchestra e il jet set della fusion americana : Michael Brecker, Tom Scott, Herbie Hancock, Larry Carlton, Lee Ritenour, Jaco Pastorius, Steve Gadd , Peter Erskine , un nucleo fisso al quale ruotano sessionmen del calibro di Michael Boddicker, Jerry Knight, Airto Moreira e Ray Parker Jr. Il disco offre fantastiche esecuzioni e arrangiamenti geniali

Horace Silver - Song for my Father (1964, Blue Note)

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Pianista e compositore di origine capoverdiana, Horace Silver è stato il principale artefice dello stile hard bop e il pianista più rappresentativo di tale corrente. Registrato nel 1964, "Song For My Father" è il disco più famoso e soddisfacente dal punto di vista commerciale di Horace Silver, nonché uno tra i migliori dischi di hard bop di sempre. La stupenda title track, divenuta in breve tempo uno standard, ha ispirato diversi gruppi pop e rock, tra cui gli Steely Dan che la ripresero in Rikki Don't Lose That Number. Song For My Father Personnel: Horace Silver (piano); Carmell Jones, Blue Mitchell (trumpet); Joe Henderson, Junior Cook (tenor saxophone); Teddy Smith, Gene Taylor (bass); Roger Humphries, Roy Brooks (drums) Tracks 1. Song For My Father 2. Natives Are Restless Tonight, The 3. Calcutta Cutie 4. Que Pasa 5. Kicker, The 6. Lonely Woman 7. Sanctimonious Sam - (bonus track) 8. Que Pasa - (Trio Version) 9. Si

Aluminum Group - Introducing… The Aluminum Group (2000, Marina Recordings)

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Gruppo di Chicago guidato dai fratelli Frank e John Navin, gli Aluminum Group allestiscono da anni canzoni pop accessibili e capricciose. Le loro maniere destrutturate, spesso jazzy, recuperano e distorcono le proprie influenze più vistose: Carpenters, Bacharach il Sergio Mendes degli anni Sessanta, Henry Mancini. Un risultato a tavolozza in cui i colori sono dati da giochi di ritmo insolenti, perfetti arrangiamenti di fiati e tastiere e immagini orchestrali. In questa antologia viene raccolto il meglio dei loro primi tre album: Plano , Wonder Boy Plus e Pedals pubblicati tra il 1998 e 1999. Ci sono tante intuizioni e possibilità che riescono a trasformarsi in un’idea/canzone geniale con sound pensato a la tempo stesso naturale e spontaneo come le magnifiche serenate da tre minuti di Star Wish e The Mattachine Society . I fratelli Navin seguono a volte la via del synth pop diretto (Angel On A Trampolene, Sugar & Promises), ma sono irresistibili quando riescono ad applicare dei

Lucio Battisti – Una Giornata Uggiosa (1980, Numero Uno)

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Lucio Battisti torna in Inghilterra e affida la realizzazione del disco a Geoff Westley. Sono suoi gli arrangiamenti e la produzione. Westley apporta molti cambiamenti nel gruppo di musicisti che aveva collaborato a “ Una Donna per Amico “ e utilizza una sezione fiati della quale fanno parte Mel Collins al sax, Malcom Griffiths al trombone e Martin Driver alla tromba. Il disco viene registrato alla Town House di Londra con Greg Walsh alla consolle. Spesso sottovalutato, a volte un po’ messo in sordina nella discografia battistiana che conte, criticato per la produzione sovrabbondante, chiacchierato per la segmentazione creata dalla presenza delle tastiere che sostituivano molti strumenti di tipo “ classico “, con l’inedita presenza di ben cinque bassisti per dieci canzoni. “ Una giornata Uggiosa “ è un album strano, una lavoro che dopo i fasti di una “ Donna Per Amico “ avrebbe dovuto lanciare Lucio Battisti ancor più in alto nel firmamento europeo. Con questo lavoro la calligrafia ar