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Visualizzazione dei post da novembre, 2010

Nina Simone – Baltimore (1978, CTI / EPIC)

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Chi sa quali fantasmi inseguiva Nina quando interpretava queste canzoni. Sicuramente i ricordi delle sue coraggiose scelte politiche che le costarono l’isolamento dallo show biz, le ombre dei suoi problemi personali con alcool e droghe, la voglia di tornare ad essere la “Sacerdotessa del soul“. Intensa e aristocratica in ogni disco infonde una spiritualità e un calore che non lasciano equivoci sulla sua totale sincerità. Saldamente attaccata alla tradizione vocale jazzistica, Nina spazia con agilità da acrobata da gospel al soul, dal pop al reggae, in maniera coerente, completa. Il suo stile si incrocia in questo album con dieci canzoni superbe creando un atmosfera soffusa, profonda. Nina sa riprendere i “classici“ per farne dei “classici “ con una potenza che nessuna produzione e nessun arrangiamento può frenare, anche quelli sovrabbondanti nelle strutture che David Matthews usa un po’ troppo in questo album. Voce e anima vengono fuori da soli in brani come That’s All I Want From Yo

David Roberts – All Dressed Up (1982, Elektra)

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Leggendario album di A.O.R. Westcoast e unica testimonianza discografica del David Roberts, tastierista ed autore nato a Boston ma cresciuto in Canada. Con un contratto in tasca per la Elektra, grazie ad una sua canzone scelta da Diana Ross dal titolo “ Anywhere You Run To “ inserita poi nel disco della cantante “ Silk Electric “, Roberts, nel 1982, realizza questo disco con la produzione di Greg Mathieson, guru della fusion e del giro pop californiano. Ed infatti, i fiancheggiatori di questo progetto sono tutti di gran nome, c’è l’immancabile gang dei Toto, la chitarra di Jay Graydon, David Foster e Michael Boddicker alle tastiere, le specialità ai cori di gente come Bill Champlin, Tom Kelly e Joe Chemay. Oltre alla citata “ Anywhere You Run To “, in questo disco troviamo brani che testimoniano un songwriting originale e un interprete legato a schemi collaudati di pop songs, ma non per questo meno gradevoli ed interessanti. Greg Mathieson e l’uomo d’ordine che dona un classico

Mose Allison - Mose Allison Sings (1963, Prestige)

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Mose Allison è stato un fenomeno assolutamente irripetibile, impossibile da classificare in base ad alcuna caratteristica stilistica. Questo “piccolo bianco del sud” (era originario del Mississippi) nella sua lunghissima carriera ha scritto e interpretato i più svariati generi musicali dal blues al boogie–woogie, dal country al jazz e al pop. Pianista elegantissimo, autore di testi intelligenti, mai banali, ha ispirato diversi protagonisti presenti  sulla scena pop-rock mondiale negli anni '70 e '80 tra cui: gli Who, che hanno ripreso la sua “Young man’s Blues”, i Clash che hanno inserito nel loro capolavoro “Sandinista” la celebre “Look Here” e poi ancora Elvis Costello, Ray Davies fino a Van Morrison, che ha dedicato a Mose nientemeno che un disco intero, “Tell Me Something”. Questa raccolta presenta alcune session del periodo Blue Note, registrate tra il 1957 e il 1959, tra i brani spiccano il blues "Seventh Son" di Willie Dixon, Don't Get Around Much Any

Randy Newman – Trouble In Paradise (1983, Warner Bros.)

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Schivo, poco noto al grande pubblico, dischi centellinati e preziosi, Randy Newman è considerato un maestro della canzone d’autore americana. Un artista che incarna alla perfezione l’anima eclettica dell’America con il suo amore per il blues che confonde con i climi pop e rock in uno stile personalissimo. Questo album, uscito dopo la colonna sonora del film” Ragtime “ di Milos Forman, si iscrive nella linea espressiva di “ Little Criminals “, tale continuità è garantita dalla presenza come produttore di Lenny Waronker ed è un altro tassello da incorniciare nel grande mosaico cantautorale americano. Il titolo " Trouble In paradise "  è come al solito provocatorio , deriva dal fatto che diversi brani sono ispirati a luoghi  della California come Los Angeles, Cape Town e altri che, nella memoria collettiva potrebbero essere una specie di paradiso, ma non lo sono affatto. Le canzoni scorrono come "carrellate lunghe" di un immaginario film in mezzo a orchestrazioni di

Chaka Khan – What Cha’ Gonna Do For Me (1981 , Warner Bros.)

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Cominciò a farsi conoscere come cantante dei Rufus, con cui ha lavorato saltuariamente nel corso degli anni. In questo  terzo lavoro solistico, assistita da un produttore esperto come Arif Mardin, la signora canta finalmente il suo soul, quello più vicino al canto jazz , con il quale dare sfoggio delle sue prodigiose capacità interpretative dotata com’è di uno stile sincopato e spezzato sul quale intreccia vocalizzi incredibili. L’album esplora in largo e in lungo la musica nera in repertori  impegnativi di soul, jazz e funky ed escursioni pop. Esempi eloquenti sono una versione tutta virtuosismi e preziosità vocali della beatlesiana We Can Work It Out , il funky-pop e la dance rappresentati da un remake portentoso di What Cha’ Gonna Do For Me  scritto da Ned Doheny e Hamish Stuart e già edito su  Shine  della Average White Band, la bellissima  Night Moods  di Jerry Ragonov dove raggiunge un livello di intensità degne dalla migliore soul music e poi il capolavoro intitolato And The M

Van Morrison – Poetic Champions Compose (1987, Polydor )

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Uomo di mezza statura, di mezza età, ma un gigante dai muscoli d’acciaio quando è alle prese con la sua musica. Questo disco è un manifesto dell’uomo-artista alla ricerca d’identità. Un personaggio pirandelliano alle prese con se stesso, in mezzo a sospetti, a sentimenti che durano nel tempo e col tempo si fanno più forti, ma anche al “carpe diem”, l’afferrare l’attimo prima che l’attimo afferra te stesso. Piega i suoni sulla fiamma del r&b morbido, intona folk-gospel dilatati e pop ruspanti, poi indossa giacca e cravatta e ci regala strumentali jazz dal sapore onirico. Le sue melodie non affondano mai la spada, si tengono sulla superficie dei suoni, lasciando che si dichiarino spontaneamente, senza alcuna forzatura. Il sax contralto di Morrison suona struggente in “ Spanish Step”  poi “ Van The Man”  racconta le emozioni incostanti di “ I Forgot That Love Existed” , il candore di “ Queen Of  The Slipstream” . Le canzoni sembrano apparentemente planare leggere nell’aria, sospese

Bruce Hibbard - Never Turnin' Back (1980, Myrrh)

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Nato a Oklahoma City, Hibbard iniziò da giovanissimo a suonare con gruppi locali di Christian Music e farsi subito notare, verso la metà degli Settanta, come musicista e autore di talento nell’ambito della Contemporary Christian Music . Dopo aver suonato con gente come Phil Keaggy e nella band di Paul Clark, Hibbard pubblica per la piccola label Seed il suo esordio solista A Light Within " nel 1977, un ottimo album intriso di pop e soul che raccoglieva in gran parte delle sue composizioni incise da altri artisti gospel come Sherman Andrus e Pam Thum. Tre anni dopo realizza questo capolavoro di C.C.M. per la Myrrh, una delle più importanti case discografiche del genere. I musicisti erano quasi tutti gli stessi del precedente lavoro, tra cui Hadley Hockensmith che produce l’album, Bill Maxwell , Harlan Rogers e Dean Charts, meglio noto come Dean Parks, ovvero il nucleo che formerà poi il gruppo dei " Koinonia ". Acclamato dalla critica, “ Never Turnin’ Back “ è un lavor

Steve Winwood – Arc Of A Diver (1980, Island)

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Winwood ritorna con un lavoro di perfezione e di stile, dopo un lungo periodo di silenzio. Sono lontani i giorni dei Traffic, i flash dei Blind Faith, la parentesi “ hendrixiana “, l’infatuazione esoterica con Stomu Yamash’ta. Nonostante abbia suonato con mezzo mondo Winwood è sempre stato un artista schivo e democratico nei ruoli, basti pensare a quando rifiutò la leadership nei Traffic solo per timore si esser tacciato di egocentrismo. La bella copertina riproduce il plastico dinamismo di un tuffatore che ricorda quella di “ One World “ di John Martyn. L’istante finale di una figura umana simbioticamente vincolata all’ acqua in un gioco ancestrale. Un istante impalpabile dove, nell’eterno circolo della vita, l’elemento è sospeso in aria. Il movimento del tuffatore che si getta in acqua è un tuffo verso l’origine, il ritorno, dopo il supremo sforzo per abbandonare l’elemento liquido , che sta proprio al vertice dell’arco. Un concetto che l’artista ribadisce per la sua visione della

Dinah Washington – September In The Rain (1961, Mercury)

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L’influenza di Dinah Washington sulle vocalis r&b degli anni Sessanta fu enorme, da Etta James a Dionne Warwick, da Diana Ross a Esther Phillips e tante altre ancora. La sua arte vocale originalissima trasformava in episodio lirico anche la canzone più commerciale. La sua voce nasale, il suo vibrato, i suoi timbri a volte dolcissimi , altre volte acidi di blues,  rendeva unica qualsiasi composizione da lei interpretata. Era riconosciuta unanimemente come la “ regina del blues e del rhythm and blues “ e rappresentò per la nuova musica americana la parte femminile che Ray Charles deteneva per quella maschile. Questa raccolta pubblicata nel 1961, all’apice del successo, è la cartolina al tornasole di come questa straordinaria cantante riuscì ad estendere l’influenza del jazz e del blues nel territorio più tipico della musica popolare. Curato dall’arrangiatore Belford Hendricks, quest’album cattura incisioni registrate tra la fine del 1960 a New York con l’orchestra diretta da Fred N

Alan Sorrenti – Figli Delle Stelle (1977, EMI)

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Alan Sorrenti, abbandona definitivamente la ricerca vocale e la sperimentazione progressive degli album precedenti che lo avevano consacrato come uno de musicisti più importanti dell’avanguardia italiana. Basti pensare a dischi come " Aria"  con la partecipazione speciale di Jean Luc Ponty oppure Come Un vecchio Incensiere  dove l’artista veniva accostato a personaggi quali Shawn Phillips, Tim Buckely , Peter Hammill. Dopo il disco americano  Sienteme It’s Time To Land   in cui Sorrenti aveva iniziato ad inserire ritmiche soul e disco, ci si poteva pure aspettare questo seguente "Figli delle Stelle". La parola d’ordine del nuovo corso era sempre It’s Time To Land , ovvero un approccio più "pop"  con canzoni che potessero arrivare a tutti. Il salto commerciale che fece compiere questo disco ad Alan Sorrenti fu davvero impressionante per le classifiche italiane. Un milione di copie vendute sono davvero  un evento e il seguito da parte degli appassionati

Giorgio Moroder – From Here To Eternity (1977, Casablanca)

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Italiano trapiantato in Germania, musicista autodidatta, produttore di successo, artefice dell’affermazione internazionale di Donna Summer, pioniere della euro disco, Giorgio Moroder è stato un innovatore dei sintetizzatori applicati alla disco music e alla musica elettronica. Questo suo secondo album dopo “ Knights In White Satin “ è il caposaldo di un sound che ha fatto proseliti per decenni. Ritmica ossessiva punteggiata da interventi elettronici, climi disco uniti ad un magnetismo ipnotico vicino ai gruppi cosmici teutonici, a quella scuola tedesca di Dusseldorf con i  “ Kraftwerk “ in testa ed a certe soluzioni usate dai Pink Floyd. Il musicista indica nel concetto elettronico di “ meta-disco “ e nei riferimenti sopra citati  le motivazioni per proseguire e per distrarre la scena dance allora in continuo movimento. Moroder li evoca nei ritmi metallici, nei vaporosi affreschi elettronici, ma non si limita solo a questo, ne studia le premesse sociologiche, culturali e scientific

Pink Floyd – Wish You Were Here ( 1975, EMI )

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Opera di immenso valore, “ Wish You were Here “ arriva quando forse qualcuno aspettava - deluso - il passo falso di un gruppo ormai troppo esposto al chiaro di quella “ luna “ (due anni da “ The Dark Side Of The Moon ” ) per non rimanere abbagliato dal suo stesso successo. Questo disco, costato sette mesi di sala di registrazione negli studi di Abbey Road - da gennaio a luglio1975 - è frutto di due forze contrastanti, dal un lato la casa discografica che esigeva una replica immediata al disco precedente, dall’altro il desiderio della band di prendere fiato e riordinare le idee. Non c’è desinenza sbagliata, non esiste un solo equivoco in queste canzoni fiume, dalla confezione funky de luxe di “ Have A Cigar “ alla dilatata atmosfera di “ Welcome To The Machine “, al sogno infranto di “ Wish You Were Here “ , alla suite immortale di “ Shine On You Crazy Diamond “ cantata con passione da Waters. L’insofferenza nei confronti dell’industria discografica viene trasmessa con un pezzo

Greg Phillinganes – Significant Gains ( 1981, Planet Records )

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Questa volta i ruoli si sono invertiti. Greg Phillinganes , uno dei turnisti più famosi d’ America , porta per la prima volta il suo nome come titolare. Il tastierista di Detroit nella sua carriera ha suonato con tutti quelli che contano, da Michael Jackson a Donald Fagen, Stevie Wonder e Paul McCartney, Joe Cocker e Phil Collins fino a Eric Clapton, Lionel Richie, Quincy Jones e tante altre conoscenze altolocate rintracciabili in questo disco. Discreto, ma presente,  Phillingames spalma infinite creme tastieristiche, mentre una parata di stelle " ospiti  " sfila in ordine : George Benson, Angela Winbush, Herbie Hancock , Sadao Watanabe, Cheryl Lynn, Patrice Rushen , Michael Sembello, Ronnie Foster, Jerry Peters. Il musicista si rivela abile nella composizione tra ritmiche incandescenti, allineamenti strumentali jazz-fusion , pop-soul danzanti e momenti più melodici. Per questo “ Significant Gains “ è un’ottima creatura di studio costruita con alcuni brani davvero incisiv

Brothers Johnson – Light Up The Night ( 1980 , A&M )

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Il primo a credere in loro è stato Quincy Jones. I fratelli George e Louis Johnson, rispettivamente chitarrista e bassista, dopo aver lavorato per due anni con la band di Billy Preston per il quale scrissero due buoni singoli Music in My Life  e The Kids and Me , tentarono senza fortuna la carta solistica con provini sistematicamente rifiutati da tutte le case discografiche di Los Angeles. Addirittura quando Quincy Jones li invitò  a partecipare  ad una session per il suo disco Mellow Madness , George si era dedicato nel frattempo ad una promettente carriera da pizzaiolo. Quincy Jones però non solo li ingaggiò come musicisti di studio,  ma incluse nel disco ben quattro brani del duo e li volle poi nella tourneé giapponese. Nel 1976 uscì il primo album dei Brothers Johnson, Look out for #1   e la critica non troppo benevola li considerò come una creazione da studio di Jones. Fu con il  secondo disco   Right On Time  che tutta la loro potenza e magnetismo musicale venne fuori appieno

Bobby Caldwell – Heart Of Mine (1989, Polydor)

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Torna a sorpresa Bobby Caldwell con dieci canzoni che continuano il discorso interrotto bruscamente con “ August Moon “, album dall’esilio giapponese, annata 1983. E se non fosse stato per qualche dovizia elettronica, “ Heart Of Mine “ sarebbe entrato di diritto tra i cinque dischi più belli di A.O.R. Westcoast in assoluto. Gran parte di questi brani scritti dall’artista avevano già una storia: “ Heart Of Mine “ fu il fiore all’occhiello di Boz Scaggs su “ Other Road “, “ Nex Time (I Fall) “ e “ Stay With Me “ sono due canzoni portate al successo da Peter Cetera, la prima in duetto con Amy Grant, mentre la seconda era il tema principale dalla colonna sonora del film “ Princess From The Moon “, “ All Or Nothing At All “ è l’hit single apripista di Al Jarreau in “ Heart’ Horizon “, “ In The Name Of Love “ fu incisa dal sassofonista Richard Elliot con la partecipazione vocale di Caldwell per il suo album fusion “ Take it To The Skies “. Poi Caldwell onora la canzone pop moderna da

Archie Shepp – Fire Music ( 1965, Impulse )

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Grazie a John Coltrane nel 1964 Sheep ottiene un contratto con la Impulse. Con questa label il sassofonista registrerà due lavori, “ Fire Music “ e “ New Thing At Newport “ insieme al vibrafonista Bobby Hutcherson. In quel periodo la negritudine e l’africanismo sono le parole chiave negli ambienti jazz, tanto che i grandi protagonisti come Max Roach, Charles Mingus, i Jazz Messengers, Cecil Taylor, John Coltrane in un modo e nell’altro guardano all’Africa realizzando dischi che diventano il primo appoggio alla cosiddetta “ black revolution “. Nasce una linea di sviluppo nella quale si identifica presto la riscoperta e la “ purificazione “ della cultura africana… Archie Sheep con questo disco assurge immediatamente a protagonista di questo movimento che non aveva precedenti perché mai la musica era stata così prossima all’ideologia come all’interno di questo fenomeno. Così, nel momento più infuocato del free, quando imperversava la fascinazione psichedelica e l’influenza del naziona

Ned Doheny – Hard Candy ( 1976, Columbia )

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Ned Doheny aveva all’attivo come autore un buon singolo “ On And On “ interpretato da Dave Mason e Cass Elliot e un disco omonimo nel 1973 con l’Asylum sulla scia del country-rock d’autore promosso dai suoi amici Jackson Browne, e Don Henley (sul retro della copertina di “ Desperado “ degli Eagles compare anche lui). Dopo qualche apparizione come vocalist e chitarrista in altri dischi arriva a questo “ Hard Candy “ con la produzione di Steve Cropper, il leggendario chitarrista dei Booker T. & The MG’s e le sue idee sulla musica si spostano decisamente verso il pop e il r&b, parte integrante di questo progetto.  Ed è proprio la contaminazione stilistica in bianco e nero a rendere l'album un capolavoro del genere e la sua riuscita artistica . Una caratteristica applicata alla migliore musica pop, in tutto il suo spettro, in quell’estrema fluidità e apparente semplicità che ad un ascolto più attento lascia venir fuori in modo affascinanti tessiture sonore, scambi di part

Michael Jackson – Off The Wall ( 1979, Epic )

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Michael Jackson prende totale confidenza con quel catalizzatore e organizzatore di idee che è Quincy Jones, l’uomo ombra di questo disco. Nel 1978 i due si incontrano in occasione della colonna sonora in versione soul di “ The Wiz “ e da lì in poi nascerà un connubio tra di loro che porterà a due delle operazioni fra le più colossali mai concepite dal business musicale : “ Thriller “ e questo “ Off The Wall “. Per troppo tempo “ inscatolato “ in un sound che gli si era invecchiato intorno perché gran parte del repertorio era destinato a giovanissimi, il vocalist dal timbro acuto , grazie a una super produzione, emerge con tutta la sua personalità e grande versatilità in queste canzoni calibrate al millimetro. “ Don't Stop 'Til You Get Enough “ e “ Off the Wall “ poggiano su riff che entrano in testa per uscirne solo ad avvenuta saturazione, con “ Rock With You “ Jackson melodizza magnificamente sotto l’estro degli arrangiamenti di Rod Temperton, “ Get on the Floor “, “ B

Style Council – The Singular Adventures Of Style Council ( 1989, Polydor )

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Paul Weller è sempre stato una personalità mutevole e sfuggente. Nel 1982, pochi mesi dopo aver sciolto i Jam, insieme all’amico Mick Talbot ex tastierista dei Dexy's Midnight Runners, al giovane batterista Steve White e il contributo della vocalist D.C. Lee, diede vita agli Style Council riuscendo a reinventarsi delle direzioni originali di pop-soul autodefinendosi amabilmente il cappuccino kid . La sua permeabilità ad ogni genere di influsso, quel miscuglio di sensibilità e intuito, è rintracciabile in questa raccolta di singoli , atto finale dell’avventura di questa originale band. Tagliata e ricucita in diverse situazioni e in diversi momenti, questa antologia scorre come un fiume in piena regalando delle situazioni sonore affascinanti con bassi funky, sezioni fiati r&b, organo alla northern soul, ballate after hours romantiche, rock’n’roll d’annata. Un girovagare stilistico, attraverso canzoni bellissime come il pop latineggiante di “ You're The Best Thing “, la b

Pharoah Sanders - Karma ( 1969, Impulse )

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Uno dei capolavori del movimento free-jazz. Il primo album registrato da Sanders dopo la morte del suo maestro John Coltrane a cui collaborano fra gli altri Lonnie Liston Smith, ex pianista di Gato Barbieri e il cantante e percussionista Leon Thomas che in seguito farà parte della band di Carlos Santana. Nato nel 1940 a Little Rock, Arkansas, Farrell Sanders inizia a studiare pianoforte , clarino e batteria per poi dedicarsi al sax tenore con il quale comincia a suonare con dei gruppi all’Università di Oakland. Dopo qualche anno si trasferì a New York e grazie all’interessamento di Don Cherry ottenne il suo primo ingaggio da professionista. Lì conobbe prima Sun Ra, con il quale lavorò a stretto contatto ( fu lui a soprannominarlo “ Pharoah “ cioè il “ Faraone “ ) e poi John Coltrane, la sua influenza musicale più importante , suonando nei suoi dischi di sperimentazione free-jazz " Ascension " e " Meditations ". Musicista geniale, estroso e creativo , Sanders realiz