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Visualizzazione dei post da dicembre, 2010

Kenny Loggins – Vox Humana (1985, Columbia)

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Una produzione faraonica per un album ambizioso . Dopo l’exploit nella colonna sonora di “ Footloose “, Loggins sperimenta sentieri elettronici , dove però la pop song emerge sempre e si tiene perfettamente a galla. Un’elettronica come forma squisitamente moderna costruita su ritmiche a armonizzazioni affascinanti anche quando viene usato uni strumento “disumano” come il vocoder ( le progressioni armoniche su “ Loraine “ sono un spettacolo ). Supervisione attenta di Michael Omartian con la sua comunità itinerante si sessiomen e impennate magiche di guest stars quali le Pointer Sister, Phil Bailey, Carl Anderson, Richar Page sono il marchio di fabbrica di un album compatto ed omogeneo. Poco apprezzato all’epoca si rivalutò in secondo tempo con gli interessi quando “ Love will follow “, “ Forever “ , “ I’ll Be There “ e “ No lookin’ back “ ( pubblicata in contemporanea nella versione di Mc.Donald ) diventarono must del pop e del soul. Mauro Ronconi Producers: Kenny Log

Fleetwood Mac - Fleetwood Mac (1975, Reprise)

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C’erano sempre tensioni in questa band travagliata da insofferenze reciproche, litigi, invidie, gelosie. Del gruppo che aveva esplorato nella sua precedente incarnazione britannica il rock blues erano rimasti il batterista Mick Fleetwood, la cantante e pianista Christine Perfect (poi signora McVie) e il bassista John McVie. A turno se ne erano andati i chitarristi Peter Green. Jeremy Spencer, Danny Kirwan, Bob Welch e la band era al collasso. Quando reclutarono i due nuovi membri Stevie Nicks e Lindsay Buckingham dal timido trascorso pop-folk, non pensarono minimamente che sarebbe arrivato da lì a poco un successo commerciale senza precedenti e il peso di un’affermazione da riconfermare ad ogni seguente prova discografica. Con loro due la band riparte da zero e un mutamento di rotta definito. Si delinearono i territori musicali facendo partecipare tutta la band e si capirono al volo : Nicks presente nei brani mellow con canzoni ariose e sognanti , Buckingham in quelli da rock’n’ro

Swing Out Sister – Somewhere Deep in the Night (2002, EMI)

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La cantante Corinne Drewery e il tastierista Andy Connell proseguono il sodalizio partito dal cool-jazz e il pop di alto intrattenimento iniziato nel 1987 con It's Better to Travel . Ispirate alle tematiche pop di Jimmy Webb e Burt Bacharach, aperte alle influenze orchestrali di John Barry, Henry Mancini e Piero Piccioni, queste canzoni meritano menzioni speciali perché composte sull’onda di una fertile e sincera ispirazione. Pop corale da soundtrack anni Sessanta ( Through the Sky , Touch Me Now ), ballate dal fondale sicuro alla Bacharach ( What Kind of Fool Are You? ) senza disdegnare la lounge jazzata ( Somewhere Deep in the Night, Alpine Crossing)  e le malinconie avvolte dal sax smooth-jazz di Nigel Hitchcock ( The Vital Thing e The Vital Thing - Take B ). Da manuale la melodia accattivante di Where the Hell Did I Go Wrong  e il soulful di Where Do I Go? , due gemme dai "lineamenti" davvero formidabili. Tutti i brani che, oltre a Drwewery e Connell, portano la

Finis Henderson – Finis (1983, Motown)

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Vocalist di Chicago e figlio d'arte ( suo padre era il manager di Jerry Butler e Brook benton con trascorsi da ballerino ) Finis Henderson   cominciò cantare  negli anni Sessanta con un band giovanile chiamata “ The Dynamic 4 “ quindi leader dei “ Weapon Of Peace “ con i quali pubblicò nel 1976 un buon disco omonimo di soul-dance per la Playboy Records. Sciolta la band, Henderson si trasferì in California, prima a San Francisco dove lavorò come attore, comico e cantante,  poi a Los Angeles dove strinse amicizia con Al McKay degli Earth, Wind & Fire formando il gruppo Prophecy con Bill Wolfer. Nel 1982 Finis Henderson partecipò nel disco solista di Wolfer cofirmando e interpretando “ Call Me “ uno dei brani di punta dell’album . L’anno dopo, per la Motown e con la produzione di Al Mckay,  uscì questo suo primo ed unico album da solista. E’ un ottimo esempio di pop-soul accattivante e raffinato,  in linea con quelli che erano i nuovi orientamenti della Motown : ballate melodi

Lee Konitz - Lee Konitz with Warne Marsh (1955, Atlantic)

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Un'autentica leggenda vivente, genio dell’improvvisazione, il grande sassofonista americano Lee Konitz, in oltre quarant’anni di carriera, ha attraversato tutti i cambiamenti e le rivoluzioni della storia della musica jazz: partecipa alle sedute di Birth Of The Cool con Miles Davis, incide Intuition con Lennie Tristano, free jazz ante litteram. Konitz ha anticipato le avanguardie degli anni ’60, sperimentatore , il suo stile non ha mai smesso di evolversi, mantenendo un rapporto ludico, addirittura ingenuo con lo strumento. Lee Konitz e Warne Marsh hanno condiviso un percorso musicale simile, caratterizzato da una carriera iniziata precocemente e legata alla musica di Lennie Tristano. Le loro prime registrazioni insieme sono ovviamente quelle con il sestetto di Lennie Tristano, e risalgono al 4 Marzo e 16 Maggio 1949. Il 28 Giugno e 27 Settembre di quello stesso anno, Konitz e Marsh realizzarono le loro prime registrazioni come co-leader di un quintetto con pianoforte, contr

Angela Bofill – Something About You (1981, Arista)

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Nata nel Bronx, da padre cubano e madre portoricana, è stata una delle prime artiste latine ad addentarsi nei meandri del r&b urbano. Con i primi due lavori per la GRP “ Angie “ e “ Angel Of The Night “, Angela Bofill aveva dato un buon saggio della sua validità di cantante e autrice soul e jazz supportata dalla produzione di Dave Grusin. Con questo primo album per la Arista di Clive Davis, prodotto magnificamente da Narada Michael Walden, la Bofill conferma di avere anche una forte carica ritmica r&b e un timbro di voce giusto per ballate pop. A contribuire alla riuscita dell’operazione il team di Walden con Randy Jackson al basso, Marc Russo al sax, Corrado Rustici alle chitarre, Frank Martin alle tastiere ed numerosi ospiti tra cui Earl Klugh, la sezione fiati dei Tower of Power, Patrick Cowley, Andy Narell, Jim Gilstrap. Le canzoni sono tutte di livello superiore, spiccano “ Something About You " perfetto funky-soul da discoteca così come " Holdin' Out Fo

Kenny Rankin – The Kenny Rankin Album (1977, Little David)

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Registrato in diretta come fosse un disco “ live “ questo album è un magnifico melange nato dalla raffinata eleganza dell’orchestra di Don Costa e la voce dalla naturalezza folgorante di Kenny Rankin, autore dischi straordinari e dimenticati come “ Inside “, “ Silver Morning “ , “ Hiding In Myself “ che legano con grazia l’ A.O.R. e il jazz. Don e Kenny si conoscevano e si stimavano da anni e finalmente , tramite il produttore Michael Stewart, riuscirono a realizzare questo lavoro che, oltre all’orchestra arrangiata e diretta da Costa, vede impegnato un quartetto formato da Rankin al pianoforte, chitarra acustica e voci, Wendy Haas al piano elettrico e organo, Roy McCurdy alla batteria e Peter Marshall al basso. Unici ospiti Nino Tempo al sax tenore e le coriste Julie Tillman e Maxine Willard. Ci sono bellissime versioni di canzoni già sentite , scelte tra il repertorio di autori pop contemporanei come Billy Preston ( “ You Are So Beautiful “ ), i Rascals (“ Groovin’ “ ), Stephen

Ornette Coleman – Skies Of America (1972, Columbia)

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Anche se Coleman non fu soddisfatto appieno del risultato finale di questo disco, in quanto non ebbe nemmeno il tempo di provare con l’orchestra se non dopo alcune brevi messe a punto, questo album è una pietra miliare dell’improvvisazione e della musica moderna in generale. Lui, che cercava sempre di far qualcosa di diverso con incisioni curatissime e dai titoli avveniristici come “ Change Of The Century ” ( Il cambiamento del secolo ), “ Shape Of Jazz To Come “ ( La forma del jazz che verrà ) oppure “ Something Else “ ( Qualcos’altro ) fatto entrare in fretta e furia in uno studio di registrazione con il tempo contato per metter in pratica quel credo sul quale ha costruito l’intero suo sistema musicale chiamato “ harmolodic system “. Con questo sistema il musicista pone sullo stesso piano le relazioni tra melodia, ritmo e armonia, elementi che in altre musiche non sono mai paritari, uno ha sempre la meglio sugli altri. Coleman cerca di parificarli andando all’essenza del material

Ned Doheny – Love Like Ours (1991, Polystar)

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Dall’ esilio discografico in terra giapponese, Ned Doheny continua con i suoi dischi ad essere quello che vuole: un musicista capace di estraniarsi dalle mode e contemporaneamente viverle e affrontarle da punti di vista diversi. La sua personalità è il filtro inconfondibile, va dove vuole con carattere sempre distinto. Amato come pochi, Doheny è sempre riuscito a svincolarsi dagli ingranaggi riduttivi dello sow-biz e di tutto quello che di tentacolare producono gli imprenditori della musica. Anche se è stato sicuramente uno dei songwriter più originali della costa occidentale per l’evoluzione verso gli stili più maturi della canzone pop, l'artista di Echo Park si tirò fuori dalla mischia nonostante abbia tante cose da dire e anche più interessanti di altri celebrati colleghi contemporanei. Nel suo sentimentalismo moderno “ Love Like Ours “ appare come dieci lettere d’amore che nessuno spedisce, cui nessuno risponde. Canzoni bellissime di pop evoluto che sono certificati di gara

Sonny Rollins - Way Out West (1957, Contemporary Records)

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Immensa lezione di jazz per un fuoriclasse dell’improvvisazione. Registrato a Los Angeles il 7 marzo 1957, questo lavoro è il primo esperimento di Sonny Rollins in trio senza pianoforte con Ray Brown al basso e Shelly manne alal batteria. La foto di copertina è opera del famoso fotografo William Claxton a cui venne l’idea di celebrare il primo “ viaggio “ ad Ovest catturando un’immagine volutamente bizzarra e un po’ kitsch dell’artista nei panni di un cowboy con il classico Stetson, fondina senza pistola, il sax imbracciato come un fucile in un deserto pieno di cactus con tanto di teschio bovino. Oltre ad essere una delle copertine più famose nella storia del jazz è la perfetta introduzione ad un disco dal repertorio inconsueto. In ogni passaggio di questa incisione la personalità di Sonny Rollins umorale, camaleontica, irruenta è in primo piano. Ci sono due brani atipici per un album jazz come il motivetto anonimo di “ Wagon Wheels “ e uno banale come “ I’m An Old Cowhand ( From th

Leslie Smith - Heartache (1982, Elektra)

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Ottimo vocalist di Detroit, Leslie Smith ha fatto parte dei “ Crackin’ “, un gruppo funky-pop che dal 1975 al 1978 pubblicò quattro buoni lavori di cui gli ultimi due, prodotti da Michael Omartian, indirizzati più verso il suono A.O.R. Westcoast. Con lui c’erano Rick Chudacoff e Peter Bunetta che, dopo lo scioglimento della band,  diventeranno un coppia di produttori di successo a partire dai primi dischi di Robbie Dupree, mentre Smith intraprende la carriera di corista.  E proprio sotto la direzione dei due esce per la Elektra questo “ Heartache “ con lo stesso staff che fu dei Crackin’, ovvero Brian Ray, Arno Lucas e ovviamente Bunetta con Chudacoff e la collaborazione di musicisti di prim’ordine tra cui Bill Elliot , Ned Doheny, Gary Grant , le voci di Arnold McCuller, Merry Clayton e Kal David. Smith spazia tra soul e pop con estrema classe. Tra le cose migliori, due canzoni formidabili come “ Dream On “ e il duetto con Merry Clayton in “ Before The Night Is Over “, poi una

Roxy Music – Avalon (1982, E.G. / Virgin)

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Terzo e ultimo album dei riuniti Roxy Music. Come il precedente “ Flesh & Blood “ questo potrebbe essere considerato come un altro disco solista di Bryan Ferry “ mascherato “. Della formazione originaria restano insieme a Ferry, il chitarrista Phil Manzanera e il sassofonista Andy Mckay, ma il loro apporto ha lo stesso peso degli altri turnisti prestigiosi ingaggiati per l’occasione , tra cui Paul Carrack alle tastiere, il chitarrista Neil Hubbard e il bassista Neil Jason, i batteristi Rick Marotta e Andy Newmark , il vocalist soul Fonzi Thornton. Dei capostipiti del dandy-rock elettrico futurista resta la sofisticazione estrema, curata fino alla radicalità. Ferry qui è al centro di tutto e firma o co-firma quasi tutti i brani. Registrato agli studi Compass Point di Nassau nelle Bahamas evitando la tentazione di inserire remake deboli come fecero su “ Flesh & Blood “ con “ In The Midnight Hour “ di Pickett e “ Eight Miles High “ dei Byrds, " Avalon " è la summa d

Muddy Waters – Folk Singer (1966, Chess / MCA)

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Un uomo che ha identificato se stesso con il blues. E’ dagli anni Quaranta che Mc Kinley Morganfield, classe 1915, meglio conosciuto come Muddy Waters, suonava il blues prima nel suo nativo Missisipi , poi a Chicago subito dopo la seconda guerra mondiale. In quella città, Muddy Waters fu la figura centrale attorno alla quale giravano decine di musicisti che collaboravano con lui, da Willie Dixon a James Cotton, da Jimmy Rogers a Otis Spann. Pioniere del blues elettrico -  rivoluzione iniziata nel 1944 - con i dischi incisi per la Chess negli anni Cinquanta e Sessanta, Waters realizzò monumentali lavori di blues moderno richiamando l’attenzione di un pubblico sempre più vasto, facendo uscire allo scoperto un genere da sempre ristretto alla sola comunità nera. In questo periodo l’artista rappresentò anche una fonte di ispirazione per il nascente rock bianco britannico e per la locale scena blues di Alexis Corner e John Mayall. “ Folksinger “ è l’album acustico più importante di Waters,

Wilson Bros. – Another Night (1979, ATCO)

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Sui binari piacevolmente collaudati del pop A.O.R., i fratelli Steve (chitarre e voce) e Kelly Wilson (tastiere , chitarre e voce) nativi del Michigan e cresciuti in Arkansas debuttano con un lavoro blue eyed soul formalmente impeccabile, elegante negli arrangiamenti, nei temi quasi tutti molto mossi, ricchi di spunti e soluzioni. Anche se registrato a Nashville con musicisti locali del giro country, eccetto i due ospiti Steve Lukather ed Ernie Watts, “ Another Night “ è uno dei migliori prodotti d’ispirazione A.O.R. Westcoast mai realizzati. La produzione è di Kyle Lehning che nel 1977 aveva incluso nel disco “ Some Things Don't Come Easy “ di England Dan & John Ford Coley una canzone scritta dai fratelli Wilson, “ If The World Ran Out Love Tonight “ con buoni riscontri commerciali. Disco piacevolissimo che impone diversi ricordi come “ Shadows “, “ Another Night “, “ Thanking Heaven “  autentiche gemme di blue eyed soul, la trascinante “ Take Me To Your Heaven “ ch

Tony Stone – For A Lifetime (1988, Chrysalis)

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Unico disco, se si esclude un mini cd pubblicato nello stesso periodo, per uno di quei personaggi che fanno parte del vibrante gioco delle maschere, dove i bianchi sembrano talvolta neri. Tony Stone con "For A Lifetime"  ripercorre i sentieri del pop-soul d’annata. una mossa coraggiosa perché in questo caso non risulta nemmeno il solito trucco plautino dei " cappuccino kids"  con filosofia dance né il pròdromo di avventure funky. E’ semplicemente il recupero di certi temi blue eyed soul fine anni Settanta, quello delle compatibilità tra A.O.R. e soul morbido. Un confondersi di stili e traguardi ben confezionati con produttori diversi quasi tutti di stampo brit-pop. Sono canzoni che applicano con successo la difficile arte della mediazione e del compromesso con freschezza espressiva ad alta quota, respirabile al meglio in episodi come My Good Friend James , un pezzo favoloso scritto da Eddy Grant per lo storico gruppo vocale giamaicano The Pioneers nel 1978, C an

Supertramp - Crime Of The Century (1974, A&M)

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Il nome della band fu ispirato dal titolo di un romanzo inizio Novencento del poeta e scrittore gallese William Henry Davies “ Autobiography Of A Supertramp “. Ma Supertramp non nasce fortunato nonostante l’aiuto benevolo di un mecenate olandese che sovvenziona il gruppo per due dischi con la A&M, facendolo uscire dai locali fumosi dell’underground a poche sterline. La prima formazione era formata dai due fondatori Richard Davies, tastierista dal tocco jazz appassionato di Duke Ellington e Roger Hodgson, chitarrista cresciuto con i dischi dei Traffic, Beatles e Beach Boys, quindi Richard Palmer alla chitarra, Bob Miller alla batteria ( rimpiazzato poi da Kevin Currie ) e Dave Winthrop al sax. L’omonimo esordio del 1970 e “ Indelibly Stamped “ l’anno dopo furono lavori incapaci di smuovere qualsiasi interesse, frazionati com’erano tra mille direzioni sonore. Nel 1973 il gruppo è sul punto di sciogliersi, ma Davies e Hodgson resistono e cambiano formazione. A loro si aggiungono il

Far Cry - The More Things Change... (1980, Columbia)

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Il chitarrista canadese Peter Thom e il tastierista di New York Phil Galdston iniziarono la loro collaborazione artistica nel 1973, scrivendo canzoni in attesa che qualcuno le pubblicasse. Dopo un paio di anni passati nel limbo dell’anonimato, Barry Manilow incise e portò al successo la loro hy Don't We Live Together  inclusa nell’album multi platino " Tryin' to Get the Feeling" . In virtù di quella bellissima canzone, la Warner Bros. li mette sotto contratto per un lavoro a proprio nome intitolato "American Gypsies" che esce nel 1977, trascurato dal pubblico e della critica, nonostante vi erano alcuni episodi funky-pop e un paio di melodie di rilievo, compreso il rifacimento di Why Don't We Live Together . Dopo questo esordio certamente convenzionale e non senza qualche titubanza discografica, i due ci riprovano nel 1980 con questo " The More Things Change..." decisamente superiore a partire dalla lussuosa produzione (sullo sfondo compa

Jackson Browne – For Everyman (1973, Asylum)

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Secondo capitolo della trilogia celeste  dedicato a tutti gli uomini di buona volontà in linea alla filosofia esistenziale dell’artista. La nuova generazione cantautorale californiana trova qui gioia ed esaltazioni anche perché Jackson Browne, a differenza degli altri folk singer contemporanei, scrive canzoni dalla luce diversa, fatte di messaggi e appelli alla religione cristiana universale, parole di fratellanza, aggiornamenti più semplici ed umani della generazione freak anni Sessanta che già con Rock The Water , brano d’estrazione biblica incluso nel precedete disco, giunse diretta a quel pubblico bigotto che vedeva nel rock e dintorni la musica del diavolo. La scuderia dei ragazzi prodigio di David Geffen, dell’amicizia intellettuale, aveva dato frutti deliziosi come il concept Desperado  degli Eagles e prima ancora il super hit Take It Easy  che ritroviamo qui dentro come introduzione all’intero lavoro. Quando nell’ottobre del 1973, dopo una lunga pausa dell’artista, esce Fo

Frank Weber – Frank Weber (1980, RCA )

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Il pianista newyorchese Frank Weber aveva debuttato nel 1978 con il notevole  " As the Time Flies" . A distanza di due anni pubblica questo album sempre prodotto da Ed Newmark accompagnato dalla sua band di cinque elementi a cui si aggiungono sidemen jazz fusion tra cui David Spinozza che cura anche gli arrangiamenti dei fiati, la chitarra di John Tropea, la tromba di Jon Faddis, Gregg Hollister e David Lasley come coristi. L’ascolto di questo splendido disco dispensa sogni e regala nove piccole meraviglie, svelando il lato nascosto della musica americana, quello, da sempre, relegato (Michael Franks e Marc Jordan insegnano) nelle profondità del pop jazzato. Frank Weber da cantautore urbano delle megalopoli U.S.A., dipinge con lo smoking da sera un collage di canzoni che partendo, inizialmente, dalla melodia mainstream finiscono per abbeverarsi alle più schiette sorgenti del jazz. Basta ascoltare ballate da sogno come You Can Go Home To Me  e Only For Tonight , due pezz

Cannonball Adderley - Mercy, Mercy, Mercy! Live at 'The Club” (1966, Capitol)

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Il sassofonista Julial Edwin Adderley,  devoto “ parkeriano “  e fratello del più famoso Nat,   maturò la propria espressività jazzistica nei gruppi di Miles Davis e , a partire dagli anni cinquanta, pubblicò numerosi dischi da solita molto validi avvalendosi delle importanti collaborazioni del fratello, di Bobby Timmons, Yusef Lateef , Joe Zawinul.  Julian fu soprannominato dapprima “ Cannibal “ perché vinse una sfida in un bar ingurgitando svariati piatti di lardo , uova, altro ancora. Poi però il soprannome fu tramutato in “ Cannonball “ in quanto quell’appetito insaziabile l’aveva nel tempo fatto così ingrassare da assomigliare ad una “ palla “ . Per la cronaca il sassofonista prese anche un altro soprannome, quello di “ Cannonbird “ in onore al suo mito Charlie Parker. Questo lavoro è stato il suo più fortunato a livello commerciale ed ha una storia particolare. Il “ Club De Lisa “ era uno storico locale di Chicago,  punto di riferimento per almeno trent’anni di tutto il jazz

Felix Cavaliere – Castles In The Air (1979, Epic)

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Sofisticato incontro tra pop e soul con originale tenuta ritmica e melodie di indubbia eleganza. A due anni di stanza dal deludente progetto rock chiamato Treasure  insieme agli altri due italo-americani Vinnie Cusano e Jack Scarangella, Felix Cavaliere torna alla vecchia passione blue eyed soul, quella portata avanti fin dai tempi magici dei Rascals, di cui era lo spirito più vivo e significativo. Con il primo omonimo lavoro del 1974, l’artista aveva toccato un punto altissimo e questo Castels In The Air ne prosegue il discorso iniziato inserendolo sempre più nella stretta cerchia di veri soul man bianchi. Castles In The Air   ha il colore di una musica condizionata positivamente dalle atmosfere A.O.R., incline alla melodia, abile nello zigzagare tra il vecchio e il nuovo soul supportato da musicisti come Hiram Bullock, Steve Khan, Buzzy Feiten , Steve Ferrone, Will Lee, Marcus Miller, i vecchi compagni Eddie Brigati e David Brigati, David Lasley, Luther Vandross. Tutti strumenti