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Visualizzazione dei post da novembre, 2011

Donna Summer – Donna Summer (1982, Geffen / Warner Bros)

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L’album più riuscito di Donna Summer , ma paradossalmente anche quello più controverso. Un lavoro che la cantante tentò di ripudiare in quanto, a suo dire, fu manipolata completamente dalla produzione. Certamente  Quincy Jones sarà stato anche un "tiranno", ma gli servì su un piatto d’argento canzoni straordinarie e un contorno invidiabile come non mai , riunendo autori eccelsi come Rod Temperton, Richard Page, Bill Meyers, David Foster, Steve Lukather, Michael Sembello, Bruce Springsteen e l'assistenza dal solito stuolo di turnisti top. Certamente il periodo post Casablanca per la disco diva non era iniziato nel migliore dei modi. Il disco “ The Wanderer “, realizzato nel 1980 sull’onda della new wave, fu un mezzo fiasco e l’anno seguente David Geffen rifiutò addirittura di pubblicare il doppio album della cantante intitolato “ I’m A Rainbow “  ritenendolo troppo rockeggiante e ancora meno commerciale del precedente (due brani furono poi inseriti nelle colonne sonore

Paul McCartney – Flaming Pie (1997, EMI)

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Due anni prima ci fu la reunion tra lui, Ringo e George per completare due demo di Lennon , “ Real Love “ e “ Free As A Bird “ , realizzandone due nuove canzoni da pubblicare insieme ad una serie di inediti, live e rarità raccolti in tre doppi cd antologici. Da quei riferimenti ispirativi nasce il desiderio di fare un nuovo disco dove le canzoni dovevano arrivano chiare e forti, in grado di rapire gusti differenti soprattutto anagraficamente. Il risultato fu questo “ Flaming Pie “ concentrato di musica fruibile e memorizzabile nelle linee melodiche per un lavoro organico e completo che guarda con passione all’indietro muovendosi con intelligenza per restare sulla lunghezza d’onda della sensibilità musicale attuale. Alle session prendono parte pochi musicisti, per lo più amicizie e collaborazioni costruttive quali Jeff Lynne, Ringo Starr, Steve Miller e George Martin, mentre Paul è impegnato come polistrumentista come ai tempi di “ Band on the Run “. In questo lavoro aleggia uno spir

Paul McCartney – Flowers In The Dirt (1989, EMI)

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Con i mezzi passi falsi di “ Give Me Regards To Broad Street “ e “ Press To Play “ parzialmente recuperate con la pubblicazione del doppio antologico “ All The Best “, il nuovo album di McCartney era atteso la varco da parecchi cecchini. Paul li disarmò alla sua maniera: realizzando un lavoro strepitoso semplicemente doppiando, replicando e facendo rivivere l’umore e le melodie che solo lui sapeva scrivere. “ Flowers In The Dirt “ è un album realizzato con talento superiore e maniacale attenzione per gli arrangiamenti e le sonorità. Per il riscatto, l’artista coinvolge un esercito di produttori: Mitchell Froom ( Crowded House ), Neil Dorfsman ( Dire Straits ), Steve Lipson e Trevorn Horn ( ABC, Frankie Goes To Hollywood ), Chris Hughes ( Tears For Fears ) Ross Cullum ( Enya, Tori Amos ), David Foster, ma soprattutto sceglie come collaboratore Elvis Costello, esperto conoscitore della vitalità di chi si alimenta da sempre con la grande musica pop . I due si erano conosciuti nel 1987

Isley Brothers – Harvest For The World (1976, T-Neck / Epic)

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Dopo i Temptations e prima degli Earth, Wind & Fire , ci sono stati gli Isley Brothers in qualità di esponenti emblematici e di punte del funky-soul popolare, raffinato ma allo stesso tempo concepito per il grande pubblico. Sin dalla fine degli anni Cinquanta, questo straordinario gruppo è stato tra le costanti della musica soul. Originariamente il nucleo era formato dai fratelli Ronald, Rudolph e O’Kelly Isley . Suonavano di tutto, dal gospel al rock, dal r&b al twist, cambiando di continuo case discografiche e produttori fino a quando , nel 1964, non ne fondarono una propria, la T-Neck, facendo suonare nei loro dischi un giovane Jimi Hendryx. Su invito di Berry Gordy , la band entrò a far parte della scuderia Tamla Motown dove realizzò nel 1965 This Old Heart Of Mine “, uno dei primi capolavori del team Holand-Dozier-Holland. Ci fu poi un leggero declino che li portò nel 1969 a riaprire i battenti della T-Neck e intraprendere uno stile musicale più funky, distante dal pop-s

Tom Waits – Closing Time (1973, Elektra)

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Tom Waits viveva nell’area di Silver Lake di Los Angeles, un quartiere diviso tra le gang dei Chicanos e quella degli Orientali, dove tutto era approssimativo e pungente. Influenzato dai miti della Beat Generation, Waits sembrava davvero appartenere agli anni Cinquanta e all’immagine che essi rappresentavano: Jack Kerouac e Charles Bukowski, Gregory Corso e lo Zen, ovviamente anche il desiderio di viaggiare in continuazione. Quando comincia a lavorare nei folk club di L.A., il songwriter di Pomona suscitò immediatamente curiosità. In lui traspariva l’amore per Cole Porter e Johnny Mercer, il jazz e l’ironia sanguigna di Lenny Bruce vivendo con la sua musica le notti del Troubadour raccontando storie d’amore e di avventure che colpivano dritto al cuore. Poi ci fu l’incontro con Herb Cohen, il manager di Frank Zappa, che gli procurò un contratto discografico e un circuito di concerti molto più vasto. I piccoli club diventano subito teatri da cinquemila posti e un album d'esordio, q

ABBA – The Album (1977, Polygram)

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Gli ABBA hanno saputo muoversi in un territorio di nessuno dove abitava comodamente la gradevolezza di chi sceglievano, nel dubbio, la cultura della citazione tra la musica melodica degli anni Sessanta e tentazioni dance. Non hanno inventato nulla ( ma questo non è previsto dalle regole della creatività ) e hanno avuto tutti i diritti per vantarsene visto che, rispetto a quello che s’erano proposto,oltre ad esser stati un tonico per la musica pop, nel giro di pochi anni hanno pubblicato una fortunata serie di dischi capaci di frantumare parecchi record di vendite. Gruppo svedese nato 1972 , gli Abba erano formati dal chitarrista Bjorn Ulvaeus, dal tastierista Benny Andersson e le vocalist Agnetha Fältskog e Anni-Frid Lyngstad detta “Frida” ( il nome della band deriva dalle iniziali dei loro nomi ). Si impongono all’attenzione nel 1974 vincendo l’Eurofestival con “ Waterloo “ , brano di grande successo bissato l’anno dopo con “ S.O.S. “ . La cosiddetta “ ABBAmania “ esplode nel 197

Average White Band - Average White Band (1974, Atlantic)

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La band si formò a Glasgow nel 1972. Un sestetto che comprendeva Hamish Stuart (voce e chitarra), Alan Gorrie (voce e bass ), Roger Ball (tastiere), Malcom Duncan (sassofono), Onnie McIntyre (chitarra) e Robbie McIntosh (batteria). Dopo aver esordito per la MCA con “ Show Your Hand “ si fecero subito notare come gruppo di supporto di Eric Clapton nel tour inglese del chitarrista. Firmato un contratto con la Atlantic pubblicarono questo omonimo album prodotto da Arif Mardin. Un lavoro che stupì per l’estrema originalità delle soluzioni funky-soul espresse e la loro potenzialità artistica. Un soul bianco con inflessioni jazz che faceva della geometria fiatistica e della ritmica serrata la sua prerogativa con la chitarra di Stuart in prima fila. Esempio illuminante fu la strumentale “ Pick Up The Pieces “ che balzò al primo posto delle classifiche r&b, un brano micidiale da ritmo scattante e magnetico, riff di fiati quasi bebop, chitarra che si ispirava a “ Hot Pants Road “ di Jame

Sneaker – Sneaker (1981, Handshake Records)

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Oscuro disco di un’oscura band riportata alla luce dalla Cool Sound giapponese che lo ha ristampato in digitale con l’aggiunta di Quattro bonus tracks. Gli Sneaker erano un sestetto formatosi a Los Angeles nel 1973. Dovettero aspettare otto anni prima di pubblicare questo album prodotto da Jeffrey Baxter, ex chitarrista dei Doobie Brothers e degli Steely Dan che qui suona in tutti i brani. E proprio da una canzone degli Steely Dan che deriva il nome del gruppo (Bad Sneaker). Il chitarrista Mitch Crane e il tastierista Michael Carey Schneider sono i responsabili della maggior delle composizioni, gli arrangiamenti affidati al grande Jimmie Haskell ed alcuni contributi sparsi tra cui Ed Greene, David Foster, Paulinho Da Costa e Bobby LaKind. I brani scorrono sui binari di un A.O.R. pastoso e dinamico che riportano alla mente la miglior tradizione californiana tra pop raffinato alla Steely Dan e ballate melodiche alla Eagles. I pezzi più pregiati sono "Don't Let Me In" un a