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Visualizzazione dei post da aprile, 2011

David Bowie - Young Americans (1975, RCA)

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Il mastodontico tour promozionale per “ Diamond Dogs “ del 1974 fu una sorpresa per tutti. L’anno prima Bowie aveva annunciato il ritiro dalle scene, invece torna alla grande e con con un look completamente diverso. Capelli dal taglio dandy, completo bianco senza più paillettes e travestimenti vari. Il live registrato al Tower Theatre di Philadelphia cattura bene una musicalità più accentuata da parte dell’artista verso il r&b . L’ambiguo Lady Stardust , la creatura senza sesso, il mutante di un mondo devastato non esisteva più e nemmeno il suo morboso rock’n’roll. Quindi, dopo aver girato “ L’uomo che cadde sulla terra “ nel Nuovo Messico e scritto il libro “ The Return Of The Thin White Duke “, Bowie pubblica nel marzo 1975 questo album di blue eyed soul che riscosse grande successo specialmente negli States. “ Young Americans “ fu registrato in gran parte ai Sigma Studios, nella culla del Philadelphia Sound con una sezione ritmica formidabile composta dal batterista Andy Newmar

Burt Bacharach – Arthur - Soundtrack (1981, Warner Bros.)

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Ci sono colonne sonore che risultano convincenti senza l’ausilio delle immagini, altre che al contrario perdono di significato e concretezza senza il supporto visivo per cui sono state create. Nel caso di “ Arthur “ la musica prodotta per accompagnare la pellicola, oltre ad essere bellissima senza le immagini acquista al di fuori del contesto cinematografico una fascino particolare come del resto molti altri soundtrack firmati da Burt Bacharach (What's New Pussycat , Casino Royale, Butch Cassidy and the Sundance Kid, Night Shift ) dai quali furono estratte canzone indimenticabili. Gli artisti scelti formano un cast eccezionale per gli amanti dell’A.O.R. : Christopher Cross, Nicolette Larson, gli Ambrosia, Stephen Bishop. Tra i brani, quasi tutti scritti da Bacharach insieme a Carole Bayer Sager ( escluso i quattro temi strumentali ), ci sono almeno due capolavori del genere come “ Arthur’s Theme ( The Best That You Can Do ) “ che porta la firma anche di Peter Allen che fu il p

Tony Bennett - The Essential Tony Bennett (2002, Columbia/Legacy)

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Tony Bennett, nome d'arte di Anthony Dominick Benedetto - che poteva vantare nientemeno che il titolo onorifico di cantante preferito da Frank Sinatra - ha sempre avuto una vera passione per il jazz, ed è stato forse il primo cantante bianco di estrazione prettamente pop a incidere (nel 1958) con l'orchestra di Count Basie. Nel corso della sua lunga carriera Bennet ha cantato tra l'altro anche per Duke Ellington, Woody Herman e Bill Evans. Questo album presenta una ricca antologia dei principali cavalli di battaglia di Bennett, a dimostrazione di una lunga e straordinaria carriera piena di successi.                                                                                                                                                           Recorded between 1951 & 2001 Personnel includes: Tony Bennett, k.d. Lang (vocals); Percy Faith, Ray Conniff, Frank DeVol, Ralph Burns, Marty Manning, Don Costa, Johnny Mandel, Torrie Zito, Robert Farn

Bob Dylan – Blood On The Tracks (1974, Columbia)

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Dylan e l’album dell’amore perduto influenzato in gran parte dalla fine del suo matrimonio con Sara. “ Blood On The Tracks “ è un “ concept “ sulla disperazione, la solitudine e il furore. Un miscuglio di emozioni sul tema della disillusione dai sentimenti. C’è un senso di vuoto in queste canzoni. Un triste intreccio di emozioni e di sicurezze che stanno sfuggendo di mano nella sua relazione sentimentale ( Tangled Up In Blue ). Storie di rimpianti, di malinconia, proprio quando tutto stava andando per il verso giusto e la speranza di incontrarsi nuovamente (Simple Twist Of Fate). La passione sprecata e il rimorso di quello che poteva essere (You Are A Big Girl Now) . Il duro affondo agli idioti che diffondo voci false sul suo conto, forse qualche amico che lo tradisce o un’amante che si vuole vendicare ( Idiot Wind ). La fine dell’amore più importante della sua vita narrato dentrp un’ atmosfera stranamente distesa ( You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go ). Il blues per un amor

Mark Winkler – Jazz Life (1982, MIM)

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Le sue canzoni sono state riprese da Liza Minnelli, Dianne Reeves, Rita Coolidge, Randy Crawford e i suoi dischi sono quanto di meglio si può trovare in quella fusione tra pop, jazz e alto intrattenimento. Questo fu il suo primo album, dimenticato per anni e riscoperto solo quando Mark Winkler pubblicò nel 1987 “Ebony Rain“ e nel 1989 “ The Hottest Night Of The Year “ , due tra i più eleganti esempi di pop-jazz vocale . In “ Jazz Life “ c’è il sapore di tutto quello che è stato di buono e spesso imperdibile nel songwriting americano fine anni Settanta, quello più incline alle divagazioni jazzy . C’è molto Ben Sidran (Scattin' In The Moonlight , Play To Win , Struttin’), c’è il Michael Franks vicino all’ A.O.R. di “One Bad Habit“ che ha fatto innamorare tutti (Coolcats“, Hip To Your Tricks), c’è infine il respiro pieno e la profondità delle canzoni di Kenny Rankin (Jazz Life). Un discepolo sognatore capace di dimostrare cosa sia stato il pop d’autore californiano in quel period

JaR (Jay Graydon & Randy Goodrum) – Scene 29 (2008, JaRzone)

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Una collaborazione, quella tra Graydon e Goodrum, nata in maniera abbastanza casuale mentre erano intenti a scrivere insieme dei brani per altri progetti. Il sodalizio si rivelò artisticamente così stimolante tanto da mettere su una band e realizzare un disco di moderno pop westcoast che facesse particolarmente attenzione all’armonia e ai suoni. Soluzioni musicali che non tengono conto delle classifiche, ma molto interessanti per chi ama l’A.O.R. più raffinato. Il titolo è riferito ai film noir americani degli anni Cinquanta in quanto i due musicisti sono dei veri appassionati del genere. Due anni di lavoro in sala di registrazione per poter esprimere questo "concetto " musicale decisamente originale fatto di composizioni costruite su una formula influenzata dal jazz , impianto armonico e melodico sofisticato, groove ipnotici. Graydon è il solito fuoriclasse alla chitarra, elegante e preciso, mentre Goodrum alle tastiere interpreta i brani in modo jazzy creando atmosfere

Kenny Loggins - Keep The Fire (1979, Columbia)

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Il disco della maturità. Un capolavoro affidato stavolta alle mani di Tom Dowd. La connection bianca nel linguaggio nero che fara’ molti seguaci all’epoca parte anche dal talento del suo fluido ed originale songwriting. Basta ascoltare “Who’s Wright, Who’s Wrong“ firmata insieme a Richard Page (la ritroveremo in “Future Street“ dei Pages e in una intensa cover di Mille Jackson) con un falsetto di purissimo stile soul e Michael Jackson come ospite, il purissimo blue eyed soul di  Give It Half A Chance“, la melodia inossidabile di “Now and Then“ che riecheggia la vecchia “Danny’s Song“. Quindi ciliegina sulla torta “This is it“, un mezzo tempo irresistibile della premiata ditta Loggins-Mc.Donald che sarà il piu’ grande hit dell’artista vincendo il Grammy come miglior canzone. Tom Dowd dona un ampio spettro di generi: il soft-rock tipo Loggins & Messina (Mr. Night), un brano calypso (Junkanoo Holiday), una formula cara a England Dan & John Ford Coley (Keep The Fire). L’album p

Dirk Hamilton – Meet Me At The Crux (1978, Elektra)

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Negli anni Settanta Dirk Hamilton fu il Van Morrison di Los Angeles. Insieme ad altri fratelli californiani perduti come Danny O’Keefe e Terence Boylan, Hamilton cercava di estendere ulteriormente il suo già solido patrimonio musicale dando consistenza ad un codice intenso ed originale dove il folk-rock si miscelava con r&b, jazz e pop. "Meet Me At The Crux" è il suo terzo album, dopo l’esordio per la ABC con You Can Sing On The Left Or Bark On The Right del 1976 e l’esaltante "Alias I" per la Elektra del 1977. E’ il lavoro della piena maturità artistica, traboccante di personalità e talento. L’album rivela apertamente le sue origini geografiche: suona esattamente come dovrebbe suonare un grande album di un cantautore concepito a L.A grazie ad una band di studio composta da gente come Bill Payne dei Little Feat, la sezione fiati dei Seawind al gran completo (Hey, Hutchcroft, Williams, Grant), Jay Winding, Steve Foreman, The Waters. Un sound mai incline ad

Jennifer Holliday – Feel My Love (1983, Geffen Records)

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Una voce affinata dal gospel e perfezionata a Broadway dove interpretò nel 1979 il ruolo di Effy Melody White nel musical “ Dreamgirls “. Titolare di un talento e di una potenzialità fuori dal comune, la texana Jennifer-Yvette Holliday si dimostrò subito un'esuberante ed imponente vocalist che riusciva a coniugare il sacro col profano , radici storiche della musica soul ( r&b, blues , gospel ). La sua voce per questo album di debutto si invola al fianco di grossi calibri quali Maurice White e David Foster, sorretta e stimolata dai migliori musicisti californiani ( Bill Meyers, Jeremy Lubbock, Robbie Buchanan, Greg Phillinganes, Ricky Lawson ). Un’ estensione vocale incredibile  che riesce a valorizzare al massimo sia la materia pop che quella soul  per un repertorio qui strabordante in qualità e produzione. Maurice White mette nel disco il cast e i suoni ricercati e raffinatissimi degli Earth,Wind & Fire che miscelano il verbo moderno della musica nera con quella del pop

Ralph McTell – A Collection Of His Love Songs (1989, Castle)

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La stima incondizionata di cui Ralph McTell gode nell’ambiente folk è frutto di anni ed anni di lavoro e dischi ragionati, profondi come “ You Well-Meaning Brought Me Here “ (1971), “ Easy “ (1974), “ Right Side Up “ (1976) che sono – a dispetto di molti che non li considerano affatto – dei capisaldi della cultura di connessione tra cantautori , folk e blues di cui gli anni Settanta inglesi sono responsabili. In ogni impresa McTell ha saputo infondere il suo entusiasmo, la sua passione intellettuale, il suo amore per la cultura secolare della sua terra d’origine, l’Inghilterra. Un vero e proprio operatore culturale, un grande autore ed ottimo chitarrista entrato quasi senza volerlo nell’empireo degli indimenticabili con un una canzone struggente come “Streets Of London“ (1971) . Ma è pur vero che, al contrario di altri folksinger contemporanei, la sua proposta è sempre stata aderente, più che al rispetto delle forme ed al rigore della ricerca, allo spirito e al respiro poetico dei

Paul McCartney - Tug Of War (1982, EMI)

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Nella musica pop c’è un ponte fra la storia e l’impossibile e Paul McCartney ci cammina sopra insieme a pochi altri. Due anni sono passati dall’album “ McCartney 2 “ e due anni dallo scioglimento dei Wings con relativi concerti. George Martin torna alla consolle e agli arrangiamenti ( l’ultima volta che avevano collaborato insieme fu ai tempi di “ Live And Let Die “ ), ma mentre erano a metà lavoro arrivò la notizia della morte di John Lennon e questo ebbe parecchio effetto sulle composizioni seguenti compreso il titolo dell’album. “ Il tiro alla fine “ deriva dai due estremi della contesa e da due volti, quello positivo e quello negativo. E'  un approccio diverso per le composizioni di McCartney solito a dargli ad esse una direzione " positiva " . Le canzoni qui dentro sono sempre in bilico emotivo, un dualismo che parte dalla ballata della title track per finire al pop-rock di “ Take It Away “ ed arrivare poi a “ Somebody Who Cares “ tipica composizione di Macca. “

Harvey Mason – Groovin' You (1979, Arista)

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Batterista richiestissimo negli ambienti jazz-fusion, Harvey Mason da solista predilige un sound sofisticato che si muove tra soul, funky e pop. “ Groovin’ You “ è lo specchio di questa situazione, tra suoni e canto, tra soft-dance e A.O.R. Westcoast con la sua messe di collaboratori tra cui Stanley Clarke, David Foster, Bob James, Bill Meyers, Richard Tee, Jay Graydon, Steve Lukather, Ray Paker Jr., Lee Ritenour, David Spinozza, Phil Upchurch, Bill Champlin. La combinazione è molto gradevole. Musica briosa e varia con spunti ragguardevoli come una versione jazz- fusion di “ Wave “ di Jobim riletta con raffinatezza e buon gusto, così come lo strumentale “ Kauai “ , l’episodio più jazzato dell’intero lavoro. Contributi di lusso di Charles Veal jr. nella ballad “ We Can “ e di David Foster nell’ up tempo funky in ” Say It Again “ . Quello che si misura in tentazioni irresistibili chiamate “ I'd Still Be There “ e la title track, è invece un preciso punto di vista sul pop-jazz anni

Jimmy Webb – Land’s End (1974, Asylum)

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Quando firmò con la Asylum del suo amico David Geffen, le azioni di Jimmy Webb erano in ribasso. I suoi dischi da solista raccoglievano ottime recensioni, ma scarsi risultati commerciali. Webb aveva pensato di coinvolgere in questo nuovo progetto Gus Dudgeon, il produttore di Elton John. Per questo motivo il musicista andò a Londra per incontrarlo, ma Dudgeon declinò l'invito e così, tramite il suo manager, fu contattato Robin Cable, amico di Harry Nilsson , che in quel periodo stava producendo Chris DeBurgh e i Queen. Registrato e mixato ai Trident Studios di Londra, “Land’s End” è uno dei lavori più cupi e duri di Webb, ispirato per la maggior parte dei brani ad una donna incontrata due anni prima proprio a Londra durante un suo concerto alla Royal Albert Hall. La struttura della canzoni e il tono complessivo dell’album sono un pop imparentato da vicino con il rock e la musica country. Ma, al di là degli elementi magici dell’arte di Webb, quelli di melodie immediate, degli arr

Boz Scaggs – Fade Into Light (1996, Virgin)

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La genesi di questo disco inizia con la canzone Fade Into Light scritta appositamente da Boz Scagss per una colonna sonora di un film giapponese. Per l’occasione la casa discografica nipponica voleva far uscire un mini-album di quattro tracce. Così Scaggs riunì alcuni musicisti a Skywalker Ranch nel Nord California e lì incisero nuove versioni unplugged di Lowdown , We’re All Alone e Harbor Lights . La cosa prese il giusto verso e realizzarono altri brani tra cui gli altri due inediti Some Thing Happens , Just Go e il remake di Simone sempre in versione unplugged, a cu si aggiunsero quattro canzoni: Time , Lost It , Sierra e il remix di I’ll Be The One tutte tratte da Some Change , l’album del 1994. Boz Scaggs è un bianco che scrive musica nera lavorando con i bianchi e in questo stupendo album conferma tutta la sua classe blue eyed soul. Lavoro elegante e musicalmente inattaccabile con derive sofisticate e slanci smooth jazz da capogiro, dall’acustica Lowdown con sviluppi vocal

Marc Jordan – Live (1980, Rio Records)

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All’indomani di Blue Desert , rimasto senza contratto dopo l’insuccesso commerciale dei due primi album con la Warner Bros., Marc Jordan pubblicò nel 1980 per la piccola etichetta "Rio Records" questo disco dal vivo riferito al concerto tenuto l’11 aprile di quell’anno a "El Mocambo" il club di Toronto, Canada. Qui troviamo un artista in forma smagliante, voglioso di comunicare e far conoscere la sua musica, e tra i solchi tutto ciò si sente, si percepisce quel feeling che riesce a catturare tutto il pubblico, a dispetto delle assenze importanti per questo genere di musica che sono le sofisticate elaborazioni da studio. Non ci sono i session-men di lusso losangelini , ma una buona band che asseconda ed accompagna l’autore in ogni fraseggio, in ogni estemporanea intuizione. Un preziosa testimonianza che offre cinque brani inediti tra cui le splendide Secrets e You’re Not Greater Than God , oltre ad alcune significative canzoni di   Mannequin   e   Blue Desert  

Herbie Mann - At the Village Gate (1961, Atlantic)

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Herbie Mann fu per oltre un decennio il flautista più famoso e carismatico del panorama jazz e contribuì in maniera determinante alla piena affermazione del flauto tra gli strumenti jazz. Nel 1962 l’album live Herbie Mann at the Village Gate si collocò stabilmente ai primi posti delle hit-parade, vendendo oltre mezzo milione di copie e rendendo Mann una delle superstar più venerate del panorama jazz di quegli anni. In questo live del 1961 lo possiamo ascoltare in uno dei suoi più grandi successi "Comin' Home Baby"  che raggiunse la Top 30 delle hit-parade pop e in due classici di Gershwin "Summertime" e "It Ain't Necessarily So"  della durata di quasi 20 minuti. Comin' Home Baby  Personnel: Herbie Mann (Flutes) Hagood Hardy (Vibraharp) Ahmad Abdul-Malik (Double Bass) Ray Mantilla (Congas and Percussion) Chief Bey (African Drum and Percussion) Rudy Collins (Drums) Ben Tucker (Double Bass) -

Rufus & Chaka Khan – Masterjam (1979, MCA)

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Quincy Jones non è un produttore qualsiasi, quando si muove lo fa con tutta la sua équipe di musicisti, coristi, compositori , rendendo ogni suo disco un prodotto subito riconoscibile. L’anno prima Jones per il disco a suo nome aveva invitato Chaka Khan a cantare in “ Stuff Like That “ e fu così entusiasta dalla incredibile versione della cantante che promise di produrre almeno un disco con lei e i Rufus. Come per “ Off The Wall “ di Michael Jackson realizzato nello stesso anno, il produttore riunisce il suo staff : l’ingegnere del suono Bruce Sweiden, la sezione fiati dei Seawind guidata da Jerry Hey e Bill Reichenbach , i Brothers Johnson e Rod Temperton. Le session di “ Masterjam “, ottavo album di studio dei Rufus e il primo con la MCA, iniziano senza Chaka Khan che subentrerà in seguito. La formazione è composta da Tony Maiden (chitarra e voce), Kevin Murphy (tastiere) Bobby Watson (basso) e David “Hawk” Wolinski (tastiere) e il nuovo arrivato John Robinson (batteria e percussi

Maxus – Maxus (1981, Warner Bros.)

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Conosciuti per aver legato i propri nomi a mezza scena pop-rock californiana, i Maxus sono un supergruppo formato da Robbie Buchanan (tastiere, voce), Michael Landau (chitarra), Mark Leonard (basso, voce), Doane Perry (batteria, voce) e Jay Gruska  tastiere e voce solista). Il loro è un A.O.R. melodico, ma allo stesso tempo potente ed energico con puntate decise verso la fusion. Prodotto da Michael Omartian - reduce dal successo planetario con Christopher Cross - il disco si snoda sulle prodezze chitarristiche di Landau e il massiccio impiego di sintetizzatori, base ideale per le melodie di Gruska. A volte, come spesso accade nella maggior parte delle produzioni A.O.R. di quel tempo, l’uso dei sinth viene un po’ troppo dispensato, ma questo lavoro resta un esempio power-rock westcoast di prima categoria sulla scia di band come Toto, Chicago e Pages. La vera essenza del lavoro sta nei riff curatissimi di “ Where Were You “ e “ Your Imagination “ , nelle invitanti ballate “ Part Of Y

Faragher Bros. - Faragher Bros. (1976, ABC)

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Il primo album del loro archivio. Un capolavoro di blue eyed soul con la produzione indovinata di Vini Poncia per i fratelli Danny, Tommy, Davy e Jimmy Faragher. Un debutto sorprendente dove la band mette in risalto magnifici impasti vocali, idee geniali e arrangiamenti molto movimentati. Il quartetto dimostra una grande abilità tecnica avvicendandosi alle tastiere, fiati, chitarre, basso, percussioni e naturalmente voci. Sono tutte splendide canzoni cui non si deve chiedere altro se non di essere quello che sono : pop di lusso con crema Motown e salsa funky preparata da musicisti in stato di grazia. Da mandare a memoria i mezzi tempo dilaganti di “ The Best Years Of My Life “ e “ In Your Time Of Need “, le sofisticate ed elastiche armonizzazioni di “ Never Get Your Love Behind Me “ e “ You Touched Me “, i paesaggi soul di “ Go Where We Want You “ , " Never felt love before " e il remake di " It's all right " di Curtis Mayfield. Ospiti graditi: Tom Saviano e

Benny Golson - Meet the Jazztet (1960, MCA Chess)

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Nel 1959 Benny Golson e Art Farmer formano un sestetto, nel quale alla coppia tradizionale sax-tromba, si aggiunge il trombone di Curtis Fuller. Intitolato semplicemente  Jazztet, questo complesso la cui prima versione comprende McCoy Tyner e Addison Farmer è considerato - assieme ai Jazz Messengers di Art Blakey e al quintetto di Horace Silver - il gruppo di hard bop più importante della storia del jazz. Durante i suoi tre anni di esistenza (1959-1962) il Jazztet registra una serie di eccellenti album tra cui  Meet The Jazztet del 1960, in cui Benny Golson dà vita a straordinari standard come Killer Joe e il classico Remember  Clifford, in onore della figura indimenticabile di Clifford Brown, scomparso prematuramente il 26 giugno del 1957. Killer Joe Art Farmer/Benny Golson Jazztet: Art Farmer (trumpet); Benny Golson (tenor saxophone); Curtis Fuller (trombone); McCoy Tyner (piano); Addison Farmer (bass); Lex Humphries (drums). Tracks: 1 Serenata 2 It A

Albert Hammond - Your World And My World (1981, Columbia)

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Nato in Inghilterra, giovinezza passata a Gilbilterra, Hammond riuscì a vendere nel 1973 un milione di copie negli States con il singolo “ It Never Rains In Southern California “ e questo gli garantì poi dei dischi easy-pop  per l'etichetta Mum abbastanza apprezzati. Nel giro di qualche anno, attratto dalla levigatezza della musica californiana, Hammond scoprì di essere anche un buon hit maker. “ The Air That I Breathe “ per gli Hollies, “ 99 Miles From LA “ per Art Garfunkel, “ I Need To Be In Love “ per i Carpenters e “ When I Need You “ per Leo Sayer sono stati colpi magistrali al cuore delle radio FM. Questo album è quello che più di altri ha il codice genetico del pop di marca A.O.R. Sono canzoni dove aleggia uno strano profumo di nostalgia, di certe conversazioni leggere che non sono mai inutili o regolate da precise strategie di mercato. Scritte insieme ad autori di sostanza come Tom Snow, Steve Kipner, Eric Kaz, Wendy Waldman, le melodie sprigionano quella particolare co

Supremes - The Supremes Arranged and Produced by Jimmy Webb (1972, Motown)

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Già nel 1965, grazie ad Harvey Fuqua, le Supremes interpretarono una canzone di Jimmy Webb, allora giovanissimo e promettentissimo autore . Si chiamava “ My Christmas Tree “ ed era inclusa in una compilation natalizia insieme ad altri classici del genere. Quindi una bella versione di " Up Up And Away " fu pubblicata dalle vocalist nel 1968. Intanto Diana Ross nel 1970 aveva lasciato il gruppo rimpiazzata dalla bravissima Jean Terrell che insieme a Mary Wilson e Lynda Laurence formavano il nuovo line-up. Era la prima volta che le Supremes si affidavano ad un produttore esterno e mai scelta fu azzeccata dal punto di vista artistico. Webb era uno degli autori più intelligenti che il pop poteva disporre a quel tempo. Un genio capace di ridefinire i canoni della composizione con la classica moody soft ballad fino a farla diventare arte di grande forza comunicativa. Ne viene fuori una elegante ed originale mediazione tra pop e r&b. Una serenata al mondo delle possibilità,

Kenny Burrell - Midnight Blue (1963, Blue Note)

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Kenny Burrel è uno dei chitarristi più bravi e tecnicamente dotati in circolazione eppure, stranamente, non ha mai raggiunto i livelli di notorietà di altri chitarristi come Wes Montgomery o George Benson. Formatosi alla scuola di Charlie Christian, Burrel dispone di un'eccellente tecnica strumentale abbinata a uno stile raffinato e melodico, predilige le atmosfere bluesy, di cui ne possiede lo spirito. Midnight Blue, del 1963, è il disco più celebre nella sua impressionante discografia personale, considerato ormai un classico dagli appassionati dell'acid jazz e del mondo soul/groove. Midnight Blue Tracks: 1. Chitlins con Carne 2. Mule 3. Soul Lament 4. Midnight Blue 5. Wavy Gravy 6. Gee Baby Ain't I Good to You 7. Saturday Night Blues 8. Kenny's Sound (bonus track) 9. K Twist (bonus track) Personnel: Kenny Burrell (guitar) Stanley Turrentine (tenor saxophone) Major Holley, Jr. (bass) Bill English (drums) Ray Barretto (congas)