Beach Boys – Friends (1968, Capitol)

A risentirlo oggi e senza pregiudizi, Friends appare un album perfetto. Pop di grande sostanza e di grande confezione uscito soltanto nel momento sbagliato e per questo ignorato dal grande pubblico e dai fan dei Beach Boys. Per prima cosa fu pubblicato sei mesi dopo il doppio flop commerciale di Smiley Smile e Wild Honey, poi perché un disco così solare e disteso strideva in un contesto storico di enorme confusione sociale e politica. Erano quelli giorni bui, tristi. Giorni di tensioni. Erano passati due mesi dall’assassinio di Martin Luther King e  poche settimane da quello di Robert F. Kennedy. Poi c’erano state le dimostrazioni a Chicago e la vittoria alle primarie del futuro presidente Richard Nixon che si appellava alla cosiddetta maggioranza silenziosa degli americani, ovvero coloro che detestavano la controcultura hippie e le manifestazione contro la guerra in Vietnam. Friends è invece un album di grazia e di pace. Un dei più morbidi album del gruppo che suona  diverso dai predecessori. Molto più coeso, armonico e piacevole rispetto a Smile Smiley e Wild Honey. Nonostante la produzione è accredita alla band, Friends è stato l’ultimo vero sforzo creativo di Brian Wilson che ritroveremo a pieno regime solo nel 1976 con 15 Big Ones. Wilson qui scrive, co-scrive ed arrangia tutti i brani ad eccezione di Be Still e Little Bird, anche se in quest’ultima il suo nome viene riportato solo per strategie di royalties. Queste due composizioni sono opera di Dennis Wilson che per la prima volta contribuisce in maniera rilevante come autore. Brian Wilson, Dennis Wilson, Carl Wilson, Al Jardine e il nuovo entrato Bruce Johnston iniziarono a registrare senza Mike Love, in ritardo da un viaggio in India dove era impegnato a studiare meditazione trascendentale. Tornato a Los Angeles , Love partecipò solo in parte alle sessioni realizzando però delle meravigliose armonie vocali sulla breve mini-overture di Meant For You e co-firmando l’orecchiabile Anna Lee, The Healer. E' un disco di sentimenti e suoni pacati, dove si parla di amore e amicizia, in cui Wilson e soci offrono un vocabolario completo del loro stile pop. Ce ne sono tante di cose importanti da archiviare a cominciare dalla title track scelta come singolo. E’ un inconsueto ed imprevedibile valzer che nel corso del tempo è stato utilizzato dalla Berklee College of Music, la scuola di musica indipendente di Boston, per insegnare agli studenti come scrivere una canzone al tempo di ¾. Little Bird segna l’inizio della duratura amicizia dei Beach Boys con il poeta Stephen John Kalinich. Scritta da Dennis Wilson con l’identico approccio melodico- strumentale di Brian e il testo di Kalinich, è un brano malinconico e spirituale cantato da Dennis e Brian con una parte del refrain preso da una canzone inedita intitolata Child Is Father of the Man tratta dalle sessions di Smile. Be Still, ancora a firma di Dennis, è invece una canzone molto evocativa, sorta di preghiera solo con voce solista e tastiere. Altra bella performance vocale di Dennis la troviamo su Be Here in The Morning sottolineata dall’ininterrotto suono delle campane. Diamond Head è uno dei capolavori dell’album ed anche il brano più elaborato. Uno strumentale favoloso con una strumentazione piena e vivace, ricca di effetti sonori, tra cui le onde del mare e chitarra hawaiana in primo piano. Un pezzo, questo,  molto amato da Sean O’Hagan degli High Llamas  ed ispirazione palese per il suo Hawaii del 1996 e  mini-sinfonia degna di Pet Sounds. Un quadretto delizioso ed autobiografico è Busy Doin’ Nothin’ che , oltre a riflettere lo stato d’animo di Brian d quel tempo, manifesta l’interesse del musicista per la bossa nova. Passing By è un semi-strumentale idilliaco e minimalista concepito inizialmente come canzone. Il testo fu poi eliminato a favore di un coro guidato dall’organo. Solo Make the World , When a Man Needs A Woman  e la finale Transcendental Meditation rientrano nei canoni della normalità. Completamente inadeguato per le ambizioni del 1968, l’album raggiunse un disastroso 126° posto in classifica. Purtroppo stava parlando a chi non c’era più o guardava da un'altra parte.

Mauro Ronconi

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